di
Mario Platero
Protagonista di molte vicende chiave per la politica estera americana, Richard Haass ci aiuta a percorrere lo stretto corridoio negoziale per Donald Trump
Più ci avviciniamo al vertice di Ferragosto tra Donald Trump e Vladimir Putin per chiudere l’aggressione di Mosca contro Kiev, più la posta in gioco sale sul piano storico. In Alaska non si discuterà solo della soluzione possibile per un conflitto regionale che minaccia l’Europa. Sul tavolo c’è una partita molto più grande che potrebbe riaffermare o compromettere quella leadership americana globale, già predisposta a un ridimensionamento.
Richard Haass, protagonista di molte vicende chiave per la politica estera americana ci aiuta a percorrere lo stretto corridoio negoziale per Donald Trump. Haass ha lavorato con quattro presidenti, riscritto la dottrina di politica estera Usa nell’ultima amministrazione Bush, è stato inviato speciale per l’Irlanda del Nord, ha guidato per vent’anni il Council on foreign relations.
Gli chiedo di spiegarci il contesto di questo vertice. «Con il vertice Trump-Putin, passeremo dalle parole ai fatti, con conseguenze geopolitiche per molti anni a venire, con implicazioni per il rapporto con la Cina, per il futuro dell’Europa per gli assetti del Medio Oriente. È un vertice storico. Spero ancora che il presidente Trump faccia la cosa giusta».
E cioè?
«Dovrà ottenere un cessate il fuoco immediato e rimandare a un secondo tempo e a un contesto di legalità e non ricattatorio eventuali negoziati territoriali. Invece l’impostazione è bilaterale e si parla già di concessioni territoriali. Se andrà così, l’errore sarà grave per la credibilità della presidenza Trump e per l’Occidente».
Sembra che le concessioni territoriali ci saranno.
«Diamo tempo al tempo. Il presidente Trump sta ascoltando anche i leader europei, il suo vice Vance fa da tramite. Trump capirà che svendere la fine di un conflitto in nome di una promessa elettorale avrà ricadute drammatiche».
Ad esempio?
«Decadrà formalmente la sacralità dei confini che ha segnato gli equilibri dell’ordine internazionale dalla fine della Seconda guerra mondiale a oggi. Per quella sacralità l’America nel 1991 andò al fronte per restituire la sovranità al Kuwait occupato dall’Iraq. Occorreva riaffermare quel principio, scolpito nella carta dell’Onu in un momento storico delicatissimo: con la fine della Guerra Fredda il rischio di un disordine planetario era altissimo. E il presidente Bush chiarì che colpi di mano o di testa non sarebbero stati tollerati in nessun caso. E rifondò la missione della Nato con la dichiarazione di Roma del 1991. Oggi come allora siamo a un crocevia. E rischiamo di perdere la visione strategica se l’America cederà al ricatto di Mosca».
È la tesi dell’Europa.
«È vero. Concordo con la posizione europea che chiede un cessate il fuoco e l’inclusione di Zelensky. L’Europa si fa interprete di quell’ordine basato sulla legalità dei confini e sul multilateralismo voluto da Washington: le Nazioni Unite, Bretton Woods, la Banca Mondiale e il Fondo monetario, il Gatt e ora la Wto sono i pilastri su cui ha poggiato quell’ordine. Ricorderemo questo periodo come un’età dell’oro: senza conflitti globali, con enormi progressi nella medicina, nella tecnologia, nella lotta alla fame nel mondo e per i diritti civili. Vogliamo cestinarlo?».
Ma Trump, è stato eletto democraticamente con un mandato: cambiare.
«Vero, la democrazia consente innovazioni. Cambiare, adattare, è una cosa. Distruggere è un’altra. Gli imperi o gli equilibri geopolitici nella storia cambiano. In genere i crolli di un ordine costituito avvengono per due ragioni. Per l’arrivo di un rivale, di un nemico potente che scardina quell’ordine. O perché non ci sono più i mezzi o la volontà o la forza per continuare. Con l’arretramento dell’America, con le azioni del presidente Trump su più fronti, anche su quello commerciale, stiamo assistendo alla smantellamento volontario di quell’ordine da parte di chi l’ha architettato e costruito. Un fatto senza precedenti nella storia. E perché? Per ragioni strategiche o per missioni più elevate? No, si dice semplicemente che il gioco non vale la candela. Una tesi elementare e assurda. Ecco perché dietro il vertice in Alaska c’è una partita strategica chiave».
Torniamo all’Europa, potrà raccogliere la staffetta per tutelare quei valori di fondo?
«No. Non sarà possibile. L’Europa preme sul piano tattico per le mosse giuste: includiamo l’Ucraina, negoziamo un cessate il fuoco e poi discutiamo del resto. Dopo, nella legalità si possono trovare soluzioni, con referendum, con accordi volontari, non con imposizioni ricattatorie. Ma l’Europa oggi non ha la credibilità o la forza — politica, economica e militare — per sostituirsi all’America nel tutelare l’ordine che conosciamo. Oggi la vera battaglia è fra Cina e Stati Uniti su fronti come l’Intelligenza artificiale, le nuove tecnologie militari. Il mondo cambierà molto e sarà imperativo adattarsi. La Cina farà molta attenzione a quel che succederà in Alaska. L’unica possibilità di rimettere ordine dipende dall’America e dal presidente Trump. E torno a dire, Trump potrebbe anche farlo se capirà da qui ai prossimi giorni l’importanza storica della posta in gioco».
12 agosto 2025 ( modifica il 12 agosto 2025 | 07:35)
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