di
Davide Frattini
Il piano studiato negli anni ’70: dividere il territorio con insediamenti e corridoi sicuri. Ora Netanyahu lo vuole riutilizzare
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
GERUSALEMME – L’elicottero atterra in cima alle dune di Netzarim dove l’esercito ha già innalzato le prime baracche dell’avamposto. Da lì sopra Ariel Sharon estende lo sguardo sulla Striscia di Gaza e una delle mani sulla mappa che si è portato dietro: allarga il palmo, le cinque dita si spartiscono i 363 chilometri quadrati.
Uno schiaffo in faccia ai palestinesi: è questo il piano che il generale — allora al comando della divisione Sud — illustra ai due ministri laburisti portati in volo e in gita di potere. A ogni dito dovrà corrispondere un gruppo di colonie unite a Israele da corridoi di sicurezza che una falange dopo l’altra tagliano il territorio: controllando gli spostamenti dei palestinesi, permettono di controllarlo senza doverlo occupare tutto. «I miei ospiti avevano gli occhi scintillanti e luccicanti», ricorderà il soldato-agricoltore soprannominato «bulldozer».
Rpensamenti
Così il progetto viene approvato dal governo di Golda Meir nel 1972 e gli architetti-strateghi costruiscono gli insediamenti a partire da Nord — questi sono considerati un’estensione della città di Ashkelon in Israele — giù fino a Sud e al Sinai catturato all’Egitto nella guerra dei Sei giorni. Le comunità vengono piazzate in mezzo agli arabi dopo averne raso al suolo i villaggi, i coloni che ci vivono arrivano a essere quasi diecimila e verranno evacuati proprio da chi gli aveva dato le chiavi di casa: da primo ministro, Sharon si convince che gli insediamenti stiano costando troppo al Paese — i soldati caduti per proteggerli, i civili uccisi negli attentati terroristici, i milioni per mantenerli — e ordina nel 2005 di evacuarli, una scelta che l’estrema destra non gli ha mai perdonato. Una scelta che i ministri messianici nella coalizione di Benjamin Netanyahu sperano di riscattare con l’occupazione della Striscia devastata da ventidue mesi di guerra.
Come mezzo secolo fa
Le dune di Netzarim stanno ancora lì e lo stesso nome porta la fascia di sicurezza che i generali hanno arato con i bulldozer e i carrarmati per dividere in due Gaza. Ricalca quella pensata da Sharon 54 anni fa, è ancora più estesa e come allora la sabbia dissodata dalla guerra serve solo a seminare distruzione. Le truppe si muovono in queste settimane lungo le coordinate identificate dal generale che è stato seppellito nel 2016 su una collina della sua fattoria non lontano da Gaza, dopo essere rimasto per 10 anni in coma. Anche il «corridoio Morag» è chiamato così per la colonia che sorgeva da quelle parti e sotto la città di Rafah i carrarmati percorrono la strada Philadelphia che divide Gaza dal resto del Sinai e i cugini dai cugini, i clan con le loro alleanze.
Linea contraria
Eyal Zamir, il capo di stato maggiore, si oppone alla volontà del governo di prendere tutto il territorio — per ora Netanyahu ha dato il via libera alla cattura della città di Gaza — e propone un intervento all’apparenza più limitato, dove le «dita» militari diventerebbero forse tre, ma la morsa sui palestinesi non si ridurrebbe: circondare la città di Gaza, i campi degli sfollati nel centro del territorio e l’area «umanitaria» — che finisce comunque sotto le bombe — lungo la costa del Mediterraneo. Sono considerate dall’intelligence le zone dove i paramilitari di Hamas sono concentrati e Zamir spera di premere sull’organizzazione perché accetti di liberare i 50 ostaggi, solo 20 tra loro in vita, ancora tenuti prigionieri.
Costi e rischi
Soprattutto vuole evitare quei costi che già avevano spinto Sharon al ritiro: l’occupazione totale imporrebbe il richiamo di migliaia di riservisti che dovrebbero restare in servizio nella Striscia per allestire la rete logistica, eseguire operazioni di sicurezza, provvedere ai bisogni dei due milioni di abitanti palestinesi. Bisogni che non preoccupano gli oltranzisti al potere: vagheggiano di «trasferimento» della popolazione, di fatto la deportazione dopo che in questi quasi due anni di guerra gli abitanti hanno già dovuto lasciare i villaggi ormai ridotti in macerie.
12 agosto 2025 ( modifica il 12 agosto 2025 | 08:09)
© RIPRODUZIONE RISERVATA