Le forze armate statunitensi potranno intervenire direttamente, anche fuori dai confini federali, contro i cartelli ritenuti organizzazioni terroristiche, tra cui quelli Sinaloa e dei “Soles”, Mara Salvatrucha 13 e Tren de Aragua. Lo stabilisce un recente Executive rivolto al Pentagono firmato dal presidente Donald Trump e rivelato dal New York Times, segnando un’escalation nella lotta contro il traffico di Fentanyl e altre droghe. La direttiva prevede la realizzazione di operazioni in spazi marittimi e terrestri stranieri, senza però stabilire i limiti legali entro i quali potranno agire i militari.
“Stiamo giocando una partita difficile, ma presto avremo più da dire a riguardo”, ha commentato Trump dalla Casa Bianca, interpellato dai giornalisti a margine dell’accordo di pace siglato da Armenia e Azerbaijan. “L’America Latina ha molti cartelli e il traffico di droga è esponenziale. Perciò vogliamo proteggere il nostro Paese, dobbiamo proteggerlo”, ha aggiunto il presidente Usa.
Tuttavia a Sud ci sono la perplessità sull’eventuale intervento delle forze militari Usa, riporta lla testata argentina Infobae, “al di fuori di un conflitto armato autorizzato dal Congresso Usa”, con la possibilità uccidere “persone innocenti e delinquenti che comunque non rappresentano una minaccia incombente”. Non è poi chiaro se l’eliminazione di tali obiettivi possa essere ritenuta omicidio e, quindi, non venire sottoposta ai tribunali competenti.
Attacchi mirati – Nello stesso tempo autorità Usa sostengono che il focus della direttiva sarà diverso rispetto al passato, prevedendo la cattura o l’eliminazione diretta di persone coinvolte nel traffico di droga. “Dobbiamo cominciare a trattarli come organizzazioni terroristiche armate, non semplicemente come cartelli di narcotraffico”, ha dichiarato il segretario di Stato Marco Rubio al network televisivo cattolico Ewtn, assicurando che Washington potrà “impiegare tutti gli elementi a disposizione”, tra cui le “agenzie di Intelligence e il Dipartimento della Difesa”. La direttiva stabilisce inoltre una base da cui le operazioni saranno coordinate, senza precisare se verrà edificato un nuovo complesso militare o se si ricorrerà a quelli già in uso. Sulla vicenda è intervenuta anche la portavoce della Casa Bianca Anna Kelly che ha cercato di rispondere in maniera rassicurante, spiegando che “la priorità del presidente Trump e la protezione della patria”, motivo per cui ha scelto di “considerare diversi cartelli e altre gang come organizzazioni terroristiche straniere”. La portavoce ha quindi fatto riferimento all’elenco dei cartelli latinoamericani ritenuti organizzazioni terroristiche straniere, che è stato reso pubblico lo scorso 20 febbraio.
Le reazioni – Prevale l’inquietudine nei Paesi latinoamericani che, visti i precedenti fallimenti della cosiddetta lotta al narcotraffico, non sanno più cosa aspettarsi dal vicino del Nord. “Non ci sarà nessuna invasione”, ha chiarito la presidente messicana Claudia Sheinbaum, che esclude l’eventuale presenza di truppe statunitensi a Città del Messico. Sheinbaum ha sostenuto di aver sempre detto di “no” ogni volta che Washington ha proposto l’invio di soldati in Messico.
Nel frattempo l’ambasciatore Usa in Messico, Ronald Johnson, corre ai ripari assicurando che entrambi i Paesi hanno un “nemico comune, i violenti cartelli criminali che avvelenano la nostra gente, minacciano le nostre comunità e indeboliscono la sicurezza e la prosperità delle nazioni”.
A livello normativo, l’assegnazione delle operazioni contro il narcotraffico ai militari comporta un improvviso trasferimento di funzioni finora eseguite dagli agenti di polizia, tra l’altro vietato dalla legge Posse Comitatus del 1878. Inoltre fonti militari sostengono che questa modalità di intervento in Paesi terzi, benché mirata, costituisce una flagrante violazione del diritto internazionale. Sorgono anche analogie con il passato laddove l’America Latina ha ben presenti le ferite degli interventi degli anni novanta in Colombia e dei primi anni duemila in Honduras.
Si teme in particolar modo l’utilizzo di questa misura a fini politici e in chiave egemonica: non pochi hanno ricordato, in queste ore, l’invio di 20mila soldati a Panama, nel 1989, conclusosi con la deposizione e l’arresto di Manuel Antonio Noriega. E il fantasma torna ad aleggiare dopo che l’amministrazione Trump ha raddoppiato la ricompensa, da 25 a 50 milioni di dollari, per “chiunque fornisca informazioni che riportino alla cattura del presidente venezuelano Nicolás Maduro“.
L’annuncio è stato dato dalla procuratrice generale Pam Bondi, secondo la quale la DEA, l’agenzia federale antidroga, avrebbe sequestrato “decine di tonnellate di cocaina, 700 milioni di dollari in attivi” e altri beni vincolati al leader di Caracas e ai cartelli di Sinaloa e dei “Soles”. “Colui che attacca il Venezuela si perisce”, è stata la replica del presidente Maduro, consapevole che la taglia degli Usa ha una precisa finalità: spezzare il fronte interno, suscitare paranoia, indurre al tradimento.