L’estate, al contrario dell’infanzia, ci porta a riflettere, a chiederci cosa avverrà a settembre, a fare bilanci come se, da un certo punto di vista, l’anno sia già in parte concluso.

Non c’è più il tempo per pensare solo a divertirsi, ad andare in vacanza, a uscire tutte le sere con gli amici; non c’è più tempo per annoiarsi.

Perché ci succede? In estate il tempo è ancora sospeso come da bambini?

Perché l’estate non è più quella di prima

In un articolo per La Stampa del 22 agosto 1971 Natalia Ginzburg sintetizzava in maniera lucida alcune delle sensazioni che si possono provare quando si vive l’estate da adulti: «Molti come me ai primi segni dell’estate si sentono in angoscia come all’annuncio di una disgrazia, perché in essi risorge lo spavento del giudizio e della condanna. A noi sembra allora di trovarci senza scampo, inchiodati nel punto dove siamo. Chi è solo, a un tratto, ha l’esatta misura della propria solitudine. Il ritmo abituale dei giorni si spezza. Le consuete sofferenze diventano insopportabili, rischiarate incessantemente da una luce solare e crudele. La nostra vita giace in disordine ai nostri piedi. Ci sentiamo costretti a enumerarne ogni dolore o errore. La luce dell’estate illumina senza misericordia il nostro silenzio, la nostra persona immobile, circondata di antiche e nuove catastrofi.»

Per quanto questo testo sia stato pubblicato negli anni ’70, è innegabile il suo carattere di verità tuttora attuale; l’estate, oggi, nel momento in cui ormai siamo grandi, ci pone davanti all’evidenza che la spensieratezza di un tempo è finita, che l’era dell’adulting non si sospende per davvero tra luglio e agosto, che le ferie sono una partentesi relativamente breve rispetto a quei tre mesi estivi che a quattordici anni ci sembravano un’eternità.

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Inevitabile, quindi, crogiolarsi in quei ricordi estivi dell’infanzia e dell’adolescenza che sì, ci ricordano quanto la nostra vita sia complessa, incasinata, stancante, ma che riescono anche a risvegliare in noi un senso di appartenenza e il desiderio di ricordare quelle estati di libertà.

L’estate: una linea temporale a sé

«L’estate è atemporale. Fa parte di tutti i ricordi e il suo odore è il più tenace, è quello che si attacca ai vestiti, è quello che cerchiamo per tutta la vita. […] L’estate riguarda tutte le età, non ha infanzia né adolescenza», scrive Valerie Perrin nel suo romanzo Tre.

Ed effettivamente pensare all’estate, sia in positivo che in negativo, ci conduce sempre verso dei ricordi, delle sensazioni, dei pensieri specifici, ben focalizzati.

“La nostra percezione del tempo è più lenta quando incontriamo qualcosa per la prima volta”, afferma Per-Einar Binder, docente di Psicologia presso l’Università di Bergen.

“Siamo in una sorta di processo di apprendimento in cui impariamo a conoscere il mondo e a scoprire cose nuove ogni volta, ma poi cresciamo e quindi la nostra memoria si riempie di esperienze, molte delle quali sono simili.”

Dunque, mano a mano che cresciamo, certe esperienze diventano dei paradigmi, degli standard da raggiungere per potersi sentire in pace con sé stessi.

“Quando non prestiamo molta attenzione a ciò che vediamo e percepiamo iniziamo ad agire semplicemente in modalità pilota automatico, perché i nostri ricordi immagazzinati hanno una funzione per noi”, afferma lo specialista e studioso. “Questi ricordi fanno parte della nostra identità e della narrazione che creiamo sulle nostre vite.”

L’effetto dolceamaro della nostalgia

Sebbene la nostalgia possa emergere in momenti difficili, come durante periodi di solitudine o lutto, non è vista come una fonte di ulteriore sofferenza; al contrario, viene spesso utilizzata come una risorsa preziosa per ripristinare il nostro benessere psicologico.

Per esempio, questa ricerca dimostra che l’impatto della solitudine sulla felicità è meno forte quando entra in gioco la nostalgia: ciò suggerisce che la nostalgia agisce come un vero e proprio meccanismo di protezione contro i sentimenti negativi.

Il suo ruolo di “coping” (ovvero, la capacità di affrontare e gestire situazioni stressanti) potrebbe anche spiegare perché, in alcuni casi, riflettere spontaneamente sul passato possa essere associato a stati d’animo negativi, anche se i dati su questo punto sono contraddittori, con altri studi che invece ne sottolineano la natura prevalentemente positiva.

In definitiva, sebbene la nostalgia abbia un innegabile sapore “agrodolce”, la maggior parte delle evidenze scientifiche suggerisce che il suo impatto complessivo sia più positivo che negativo.

Per quanto possa apparirci un ragionamento controintuitivo, quindi, sembra che la nostalgia invece di farci sprofondare nella tristezza ci aiuti ad affrontare le difficoltà, favorendo l’adattamento e il benessere a lungo termine.

La nostalgia: un ponte verso gli altri?

Uno degli aspetti più importanti e distintivi della nostalgia è il suo forte carattere sociale: non è un’emozione solitaria, ma è intrisa di ricordi legati a persone care, amicizie e momenti condivisi.

Il sentire che l’estate vissuta da bambini non tornerà, infatti, più non è un sentimento individuale, ma un sentire collettivo che, seppur possa apparire negativo, in realtà ci permette una maggiore identificazione nel contesto sociale.

Infatti, come sostenuto da questa ricerca del 2023, quando proviamo nostalgia ci sentiamo più connessi agli altri, c’è un senso di appartenenza che alimenta la nostra autostima, che ci dà un senso di continuità.

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La nostalgia, quindi, non si limita a un effetto interiore: ha anche importanti conseguenze sulle nostre interazioni sociali perché ci rende più aperti e vicini agli altri, spingendoci a cercare aiuto e a essere più empatici e disponibili.