Il nostro ritorno dalle vacanze è stato funestato da una tragedia molto vicina. Mentre eravamo ancora in viaggio in Italia ci era stato annunciato il decesso di un giovane portiere in servizio nel nostro palazzo/grattacielo: Adam, figlio di un altro portiere dello stabile, Larry. Solo al nostro arrivo abbiamo appreso i dettagli drammatici. Adam, 21 anni, stava passeggiando nel Bronx dove abita; è stato ucciso con due colpi di arma da fuoco da un rapinatore che voleva la sua catenina d’oro. Nella stessa aggressione è stato ucciso anche un altro ragazzo, sempre a scopo di rapina. I funerali si sono tenuti l’altroieri. Non abbiamo ancora rivisto suo padre, che i colleghi ci descrivono comprensibilmente sconvolto e disperato. Fra i condomini è in corso una colletta per aiutare la famiglia, che fra l’altro dovrà far fronte a spese legali. Per un crudele paradosso, ammesso che i colpevoli degli omicidi vengano catturati e incriminati, spesso ottengono una difesa d’ufficio a spese del municipio di New York, mentre questo non accade per i parenti delle vittime.

Il dramma della criminalità violenta viene spesso affrontato come una questione astratta, fatta di fredde statistiche, fino a quando non colpisce vicino a te. In questo caso ha colpito due persone che ero abituato a vedere tutti i giorni. Non voglio scivolare nell’allarmismo. So bene che New York conobbe tempi molto peggiori, negli anni Settanta e Ottanta, se si fa il confronto con quel degrado oggi è un paradiso. La mia vita a New York scorre normale, non mi sento in pericolo ogni volta che esco di casa, e prendo spesso la metropolitana (che pure è stata il teatro di alcuni crimini orrendi). Però domenica sera proprio mentre ero a cena con amici italiani in visita, è arrivata la notizia di una sparatoria a Times Square, uno dei luoghi più iconici e più affollati di turisti. Solo feriti, in quella circostanza, per fortuna…



















































Devo precisare che ho la fortuna e il privilegio di abitare in un quartiere meno afflitto da crimini violenti rispetto ad altri. L’area del Bronx dove ha perso la vita Adam è molto più pericolosa dell’Upper West Side dove vivo io. È una realtà dura: le prime vittime del crimine si trovano nei ceti medio-bassi e nelle minoranze etniche (Adam e suo padre Larry appartengono a queste minoranze di colore). 

È un tema che venne affrontato nel mio ultimo programma televisivo su La7, andato in onda il 17 giugno, Inchieste in movimento. In quella puntata dedicata alla città di New York e realizzata qui, ero andato appunto nel Bronx a intervistare un giovane leader della comunità dei latinos (potete rivedere quell’intervista sul sito della 7). Aveva detto cose tremende sull’insicurezza dilagante, la polizia sotto organico che non risponde neppure più alle chiamate o arriva con ore di ritardo sul luogo del crimine. Aveva detto che i reati più violenti sono «opera di sei, settecento criminali recidivi, che entrano ed escono dal carcere in continuazione, la polizia li conosce benissimo, ma non possono farci nulla se la magistratura li rimette in libertà». Aveva puntato il dito contro i procuratori cosiddetti progressisti che liberano questi pregiudicati pericolosi, soprattutto se di colore, in nome di un’astratta visione della giustizia sociale (la colpa della loro violenza è del «sistema»…) col risultato assurdo di fare nuove vittime innocenti fra le stesse minoranze etniche. Due di questi procuratori sedicenti progressisti, Letitia James e Alvin Bragg (due procuratori eletti nelle liste del partito democratico, che ne rappresentano l’ala più radicale), hanno letteralmente molti morti sulla coscienza, però sono diventati ambedue delle celebrity e degli eroi nazionali orchestrando dei processi contro Donald Trump. È anche grazie alla loro azione scellerata, se alle ultime elezioni Trump ha segnato un’avanzata notevole perfino in una roccaforte democratica come New York, e non a caso l’aumento dei voti è venuto soprattutto dalle minoranze etniche, neri e latinos. Ma l’élite bianca benestante, che abita in zone più sicure, ha plebiscitato nelle ultime primarie democratiche un altro candidato di estrema sinistra, Zohran Mamdani, per la prossima elezione del nostro sindaco. 

Mamdani viene da un ceto intellettuale, è un privilegiato figlio di privilegiati, promette il socialismo in città ma è poco interessato al tema del crimine. In genere la risposta da quest’ala ultra-radicale è fatta di due argomenti: primo, la destra strumentalizza la questione della criminalità che in realtà sta calando nella statistiche; secondo, la destra è ipocrita perché non cede sul diritto all’autodifesa e quindi contribuisce alla diffusione delle armi (quest’ultimo argomento non regge qui a New York: abbiamo le leggi più severe del paese contro le armi, giustamente varate dai democratici).

Questo mi porta a parlare di quanto accade in una città abbastanza vicina e simile, Washington. La «militarizzazione» della capitale federale da parte di Trump, di cui si parla in questi giorni. Quel termine è stato lanciato dalla sindaca di Washington, Muriel Bowser, un’altra esponente dell’ala più estremista della sinistra democratica, per la sua evidente carica simbolica: allude alle pulsioni autoritarie di Trump, un aspirante dittatore che si vuole accusare di sovvertire lo Stato di diritto imponendo una sorta di golpe militare. Simili accuse erano volate già ai tempi in cui Trump inviò Guardia Nazionale e marines a Los Angeles, mentre alcuni quartieri di quella città erano sconvolti dalla guerriglia urbana di alcune bande di manifestanti violenti. Accadeva a giugno. Quell’uso di militari in funzioni di ordine pubblico non era affatto nuovo (all’epoca scrissi sugli innumerevoli precedenti nella storia Usa, tra cui John Kennedy); nel frattempo i soldati sono tornati nelle caserme già da un bel po’; il golpe militare non c’è stato; in compenso quell’intervento federale ha aiutato (o costretto…) la sindaca di Los Angeles Karen Bass a ripristinare l’ordine e il rispetto della legalità nella sua città. L’allarme sulla democrazia in pericolo a Los Angeles è finito nel dimenticatoio.

Ora ci risiamo con la «militarizzazione» di una città. Nel caso di Washington, District of Columbia, il diritto-dovere della Casa Bianca di garantire ordine e sicurezza è ancora più stringente, formalizzato in una legge ad hoc, vista la natura particolare di questa metropoli. Sede di tutte le istituzioni federali, e con uno statuto anomalo: esiste la figura del sindaco ma non quella del governatore, il District of Columbia non elegge deputati al Congresso proprio perché è una sorta di «enclave» federale. La stessa sindaca Bowser, pur contrastando vigorosamente la decisione, ha dovuto ammettere che il presidente ha il potere legale di occuparsi di sicurezza in città e di mettere le forze dell’ordine locali sotto l’autorità federale.

Trump ha annunciato l’uso della polizia federale (Fbi) e anche della Guardia nazionale, per far fronte a una situazione del crimine allarmante. Il tasso di omicidi a Washington supera quelli di Città del Messico e Bogotà, un paragone non proprio esaltante. È la quinta città più «mortale» degli Stati Uniti per numero di assassinii, ha un tasso di morti violente che è il doppio della media nazionale. Altri reati violenti come i «car-jacking» – furti di automobili a mano armata quando il conducente è a bordo – sono il triplo della media nazionale. A questa situazione di insicurezza contribuiscono le solite cause: ideologie ultra-radicali hanno conquistato la leadership del partito democratico locale, imponendo politiche giudiziarie lassiste, incluso il permissivismo sulle tossicodipendenze e il narcotraffico.

Il coro di proteste contro questa «militarizzazione» di Washington accusa Trump di esagerare il problema, gli rinfaccia il fatto che le statistiche indicano un calo della criminalità. Vero. Ma questo calo viene misurato rispetto a un massimo storico che era stato raggiunto nel 2023 dopo un terribile boom nei reati violenti durante la pandemia. Ci vuole superficialità e arroganza, oltre che insensibilità verso le vittime della violenza, per argomentare che l’anno scorso a Washington ci sono stati «solo» 187 morti ammazzati e «solo» 1.026 assaliti e feriti con arma da fuoco, per cui dovremmo rallegrarci visto che nel 2023 le uccisioni in città avevano toccato il massimo di 274. Con i suoi accampamenti di homeless dove dilagano spaccio e altri reati, la capitale federale è diventata alla pari di Chicago, Philadelphia, San Francisco, una «vetrina» dei danni compiuti da amministrazioni locali iper-ideologiche, dogmatiche, dottrinarie. Per esempio con la depenalizzazione di fatto delle «piccole» rapine nei negozi.

L’ordine pubblico è un tema giustamente sentito dai cittadini, e in modo acuto dai meno abbienti. L’esperienza insegna che quando la sinistra venne identificata come il partito del rispetto della legge e della sicurezza – l’ultimo caso esemplare fu Bill Clinton – vinse le elezioni ed evitò che questo tema spostasse l’opinione pubblica verso i repubblicani. Al di là dei calcoli politici di parte, quando i criminali violenti colpiscono te, o qualcuno che conosci e ti è vicino, le «statistiche» ti sembrano improvvisamente irrilevanti.  

12 agosto 2025