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Un raid israeliano ha colpito una tenda in cui si trovava lo staff di Al Jazeera a Gaza City, davanti all’ospedale di al-Shifa. Sono state uccise sei persone: il giornalista freelance Mohammed Al-Khaldi, tre cameramen (Ibrahim Zaher, Mohammed Noufal e Moamen Aliwa) e due reporter di Al Jazeera, Mohammed Qreiqeh e Anas al-Sharif. Quest’ultimo, in particolar modo, era la punta di diamante del noto canale satellitare a Gaza, uno dei pochi giornalisti rimasti a raccontare dall’interno le atrocità che accadono sulla Striscia.
APPROFONDIMENTI
Le dinamiche dell’uccisione
La notizia è arrivata nella notte di domenica, quando dai siti web e profili social di Al Jazeera è iniziata a rimbalzare la conferma dell’uccisione di Anas al-Sharif, correlata da video oscurati in cui si tentava di rianimare il giornalista, tra urla disperate. Secondo quanto riportato sin da subito dalla nota rete satellitare, la tenda di Al Jazeera era il target del raid israeliano. Dopo qualche ora, su Telegram è arrivata la conferma dell’IDF, le Forze di Difesa Israeliane, che hanno dichiarato che «le IDF hanno colpito il terrorista Anas Al-Sharif, che si è spacciato per un giornalista della rete Al Jazeera». Secondo le IDF, Anas Al-Sharif non stava svolgendo attività giornalistica, ma «era a capo di una cellula terroristica di Hamas ed era responsabile della preparazione di attacchi con razzi contro civili israeliani e truppe».
L’informazione non solo è stata smentita da Al-Jazeera e dai difensori dei diritti umani, ma si è levata l’indignazione in tutto il mondo dei media. Anas Al-Sharif stava lavorando per raccontare il genocidio dei palestinesi.
La lettera d’addio
Anas al-Sharif temeva per la sua condizione, sapeva di essere in pericolo. Per questo, aveva lasciato un testamento, una lettera d’addio da condividere solo nel caso in cui non ce l’avessa fatta. La lettera, un inno alla libertà dell’informazione e alla pace per il popolo palestinese, è rimbalzata sui profili social di tutto il mondo. Questa una parte del testamento, redatto nel mese di aprile; a pubblicare il testo sul profilo X del reporter è stato un suo amico:
«Se queste parole vi giungono, sappiate che Israele è riuscito a uccidermi e a mettere a tacere la mia voce. Dio sa che ho dedicato tutto il mio impegno e la mia forza per essere un sostegno e una voce per il mio popolo da quando ho aperto gli occhi alla vita nei vicoli e nelle strade del campo profughi di Jabalia. Speravo che Dio mi concedesse la vita così da poter tornare con la mia famiglia e i miei cari nella nostra città natale di Ashkelon (Al-Majdal), ora occupata. Ma la volontà di Dio è stata più rapida e il Suo giudizio è inevitabile. Ho vissuto il dolore in ogni dettaglio, ho assaporato ripetutamente il dolore e la perdita, eppure non ho mai esitato a trasmettere la verità così com’è, senza distorsioni o alterazioni, sperando che Dio sia testimone di coloro che sono rimasti in silenzio, di coloro che hanno accettato la nostra uccisione, di coloro che hanno soffocato i nostri respiri, di coloro i cui cuori sono rimasti insensibili ai corpi dispersi dei nostri bambini e delle nostre donne, e di coloro che non hanno fermato il massacro che il nostro popolo ha subito per oltre un anno e mezzo».
Continua poi il testamento con l’esortazione alla pace nei territori palestinesi: «Vi raccomando la Palestina, la perla della corona dei musulmani, il battito del cuore di ogni uomo libero su questa terra. Vi raccomando la sua gente, e i suoi bambini innocenti e oppressi, a cui la vita non ha concesso neanche il tempo di sognare o vivere in sicurezza e pace. I loro corpi puri sono stati schiacciati da migliaia di tonnellate di bombe e missili israeliani, fatti a pezzi, sparsi sui muri. Vi esorto a non lasciarvi mettere a tacere dalle catene o confinare dai confini. Siate ponti verso la liberazione della terra e del suo popolo finché il sole della dignità e della libertà non sorgerà sulla nostra patria rubata».
Chi era Anas al-Sharif
Anas al-Sharif era uno dei volti noti di Al-Jazeera. Il report aveva 28 anni e seguiva quotidianamente la Striscia di Gaza come corrispondente. Anas al-Sharif era uno dei pochi giornalisti rimasti all’interno, in grado quindi di trasmettere al mondo le immagini e le storie di ciò che accade a Gaza, della grave situazione umanitaria in cui verte la popolazione, affamata, sfollata e in continuo pericolo. Sempre nel testamento, si legge: «Vi affido la mia famiglia, la pupilla dei miei occhi, la mia amata figlia Sham, che non ho mai avuto l’opportunità di vedere crescere come sognavo. Vi affido il mio caro figlio Salah, per il quale ho desiderato essere un sostegno e un compagno finché non sarebbe diventato forte. Vi affido la mia amata madre, grazie alle cui preghiere sono arrivato fin qui, sono state la mia fortezza e la luce che ha illuminato il mio cammino. Vi affido anche la mia compagna di una vita, la mia amata moglie, Umm Salah Bayan. La guerra ci ha separato per molti giorni e mesi, eppure è rimasta salda come un tronco d’ulivo che non si piega, paziente e contenta». Ha infine concluso: «Se dovessi morire, morirò saldo nei miei principi. Non dimenticate Gaza».
I giornalisti morti a Gaza
Fare informazione a Gaza è sempre più pericoloso: secondo Reporter senza frontiere dal ottobre 2023 a luglio 2025 i giornalisti uccisi sulla Striscia, di cui si hanno notizie, sono stati oltre 200. Sempre secondo la ONG, almeno 46 erano stati presi di mira a causa delle loro attività giornalistiche. RSF ha presentato quattro denunce alla Corte penale internazionale per crimini di guerra commessi dall’esercito israeliano nell’enclave palestinese, anche nei confronti dei professionisti dell’informazione. Il Comitato per la protezione dei giornalisti (CPJ) ha denunciato che il 2024 è stato l’anno più mortale per i giornalisti: almeno 124 giornalisti e operatori dei media sono stati uccisi lo scorso anno, quasi due terzi dei quali palestinesi uccisi da Israele.
Al Jazeera contro Israele
I giornalisti non possono accedere a Gaza, sono rimasti soltanto i pochi che non hanno abbandonato il paese dopo lo scoppio del conflitto: trasferire informazioni in Occidente è difficilissimo. Si sono alzate molte voci contro Israele, in molti hanno identificato il raid contro i giornalisti come il tentativo di mettere a tacere l’informazione e il racconto del genocidio dei palestinesi. La rete del Qatar ha condannato l’attacco, dichiarando che «l’uccisione dei giornalisti della rete da parte delle forze di occupazione israeliane è un attacco palese e deliberato alla libertà di stampa». Prosegue la dichiarazione: «Questo attacco arriva nel mezzo delle conseguenze catastrofiche dell’assalto israeliano in corso a Gaza. L’ordine di assassinare Anas Al Sharif, uno dei giornalisti più coraggiosi di Gaza, e i suoi colleghi, è un tentativo disperato di mettere a tacere le voci che denunciano la presa imminente di Gaza e la sua occupazione». Il governo israeliano da sempre accusa Al Jazeera di essere uno strumento di propaganda di Hamas, al punto che nel 2024 aveva approvato una legge per chiudere l’emittente in Israele.
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