di
Marco Imarisio
La propaganda di Mosca prepara il terreno al prossimo vertice con Trump in Alaska
«Salve, sono Burt Lancaster. L’alleanza che vinse la Seconda Guerra mondiale venne formata da questi tre uomini: Winston Churchill, Franklin Delano Roosevelt, e Josif Stalin».
Ma tu guarda la coincidenza. Per la gioia dei cinefili e degli appassionati di storia, nella tarda serata di lunedì e martedì, il canale Otr di diffusione nazionale, la televisione pubblica della Russia, ha trasmesso una puntata della famosa coproduzione sovietico-americana del 1978, Unknown War, La guerra sconosciuta. Un documentario concepito all’epoca per far conoscere al pubblico dell’Occidente le gesta dell’Urss nella Seconda guerra mondiale, con il grande attore del Gattopardo, che prestò servizio come soldato semplice in Africa e in Italia, nella parte del narratore. E mica una puntata qualunque, tra le venti prodotte utilizzando materiale inedito filmato dai registi al seguito dell’Armata Rossa. È stata scelta la diciassettesima, che si intitola Alleati, e racconta della travagliata apertura del Secondo fronte in Europa, mostrando per altro un massiccio trasporto di aerei americani dall’Alaska per assistere le truppe sovietiche.
Preparazione
Chi ha occhi per guardare e orecchi per ascoltare, li usi. Il messaggio sulla possibile fine dell’Operazione militare speciale è stato lanciato. Nella Russia di oggi, come già fu in Urss, l’opinione pubblica viene preparata per tempo. Nel caso specifico, e con dosi non certo omeopatiche, a qualunque esito dell’incontro in Alaska. Anche a farsi piacere gli amici americani, dopo averli additati per gli ultimi vent’anni come il Grande Satana. Sarà «una maratona della contrattazione», come l’ha definita gazeta.ru. Ma sul vincitore, non ci sono dubbi. Tutti i grandi media nazionali ragionano sulla situazione da vicolo cieco che si sta delineando per Volodymyr Zelensky e per le velleità dei suoi alleati europei, questi ultimi, trascriviamo dall’editoriale odierno di gazeta.ru, «sempre più in difficoltà nel disperato tentativo di salvare l’affondante nave di Kiev e in quello di avere voce in capitolo nel dialogo tra due grandi potenze che si accingono a discutere della crisi ucraina ma anche di molte altre cose più globali».
L’Ucraina e l’Unione europea sono due semplici ostacoli sulla strada di una pace alla russa. Anche se l’uso di questo vocabolo è ancora da maneggiare con cura, come dimostra il tartufesco titolo del quotidiano Izvestia, dal sapore davvero sovietico: «Analisi e prospettive nella ricomposizione ucraina sullo sfondo della resistenza di Kiev e di Bruxelles». Il viceministro degli Esteri Sergey Ryabkov, interpellato dal giornale, ammette che il vertice sarà «piuttosto preliminare» e che per giungere alla fine del conflitto «sarà inevitabile» un summit Russia-Ucraina. Ma con calma, senza fretta. Perché nel clima di generale ottimismo suscitato dalla decisione di Trump di vedersi con Vladimir Putin, tutti gli esperti russi concordano sull’ineluttabilità delle concessioni territoriali da parte del governo di Kiev, il cui eventuale rifiuto non farà altro che aggravare la condizione delle sue forze armate.
Le parole di Leonid Slutsky, capo della commissione Esteri della Duma, riflettono lo spirito di questi giorni. «Fare pressione sul nostro Paese o parlare con il linguaggio degli ultimatum, è inutile. È ovvio che il regime di Zelensky è destinato alla sconfitta militare. Ma i falchi europei cercheranno di prolungare la sua agonia per amore delle proprie ambizioni».
Mosca bianca
Nel clima di generale ottimismo, appare come una mosca bianca l’analisi pacata che Vladimir Priakhin, professore di politica estera all’Università di Mosca, affida al quotidiano liberale Nezavisimaya Gazeta. «Come ha affermato Putin di recente, l’attuale politica Usa è spesso caratterizzata dalla delusione derivante da aspettative eccessive. Anche noi dovremmo astenerci dall’essere troppo ottimisti riguardo al possibile esito dei negoziati sull’Ucraina. Probabilmente siamo proprio all’inizio di un difficile percorso verso la soluzione». Ma intanto, il soldato Trump ha già fatto un mezzo miracolo. Il giorno prima del suo annuncio, qui era tutto un «rischio recessione per il 2026», «Il deficit pubblico russo sale di altri mille miliardi di rubli», «L’industria russa affonda nel pessimismo». Adesso, grazie al nuovo Alleato, non ne parla più nessuno.
12 agosto 2025
© RIPRODUZIONE RISERVATA