«Dicevano che volevano celebrare la mia carriera, invece era un pretesto per diffondere le solite fake news (sulla sua presunta identità transgender, ndr.)». Amanda Lear, 85 anni, è furibonda, dopo la messa in onda negli Usa sulla piattaforma Max del documentario Enigma, che Il Messaggero ha visto in anteprima italiana (non è ancora prevista una data di uscita nel Paese). «Il contratto con i produttori della Hbo escludeva certi temi. I miei avvocati hanno mandato una diffida, ma quelli se ne sono fregati. In America fare una causa è un incubo. Anche Brigitte Macron è stata accusata di essere una trans nella serie di Candace Owens (Becoming Brigitte, su YouTube, ndr) ma non è riuscita a bloccarla», aggiunge. Un portavoce Hbo ha, tuttavia, dichiarato al Washington Post che la diffida non è mai arrivata e non c’erano neppure accordi su eventuali argomenti sgraditi a Lear.

LA PRATICA Ma l’artista insiste: «Sono vittima di “transinvestigation”», ovvero quella pratica tesa a smascherare i personaggi pubblici che nasconderebbero un’identità transgender. «È un vergognoso tentativo di outing, ma non intacca la mia carriera. Ho appena terminato il mio nuovo film, Toujours possible: parla di una mamma sveglia e moderna che cerca un donatore di seme via internet per sua figlia. Fare la vecchia, mi diverte. Che aspettano Özpetek, Guadagnino o Sorrentino a chiamarmi?». Lear ricorda anche un progetto che avrebbe dovuto fare con Mauro Bolognini, Victor Victoria: una donna che si finge uomo, travestito da donna. «Ormai essere trans fa tendenza nello spettacolo: nel mondo dela moda lo sono il 50% delle modelle», dichiara.
Eppure, se c’era un’artista che meritava di essere celebrata per la sua carriera, quella era Amanda Lear. Modella, pittrice e musa di Dalì, partner musicale di Bowie, fino a diventare regina della disco music, conduttrice tv e attrice. In Enigma c’è tutto questo, ma i pettegolezzi sul presunto cambio di sesso sembrano essere stati la vera ragione di interesse della regista, Zackary Drucker. I RISCHI Chissà se Lear non si sia resa conto troppo tardi dei rischi del progetto, non foss’altro perché Drucker stessa è transgender. «Su Canal+ uscirà un documentario che mi risarcirà, non sarà una schifezza come questa e poi a novembre c’è il nuovo album, Looking back. Niente disco music, tutti brani che parlano di amori infelici», chiosa Lear che non ha nessuna intenzione di andare in pensione. Le protagoniste di Enigma sono due. Da un lato, April Ashley, attivista trans inglese di cui ascoltiamo la voce soave ma combattiva nei tanti filmati d’archivio (è morta nel ’21); dall’altro, Amanda Lear, intervistata nell’intimità della sua casa in Provenza. A fare da cornice, spezzoni vintage del Carrousel a Parigi, primo cabaret in cui si siano esibite delle trans negli anni 50. Se Ashley, regina del locale, è ricordata con rispetto, Amanda Lear viene sottoposta a una sorta di interrogatorio, quasi a estorcerle una confessione. IL NOME Si vedono estratti del registro civile in cui si scopre quello che sarebbe il suo nome da ragazzo, Alain Tap, mentre altre trans dichiarano di essere state sue colleghe proprio al Carrousel, dove Amanda pare fosse nota col nome d’arte, Peki d’Oslo. E non mancano le fotografie che la ritraggono insieme a April Ashley. Fu lei a trovarle quel Morgan Lear che la sposò per farle avere i documenti necessari a vivere in Inghilterra, dove erano entrambe approdate dopo il cambio di sesso a Casablanca.
Il documentario mostra anche gli articoli sull’arresto di Lear per droga nel 67, insieme a Brian Jones dei Rolling Stones. Lì, per la prima volta, si rivela che Peki e Amanda e Alain sarebbero la stessa persona, malgrado Lear avrebbe fatto di tutto per nascondere il suo passato. LO SGUARDO Davanti a tante prove, che paiono togliere ogni dubbio allo spettatore, Lear evita di guardare negli occhi Drucker. Sostiene di non conoscere Ashley («So solo che era un’ubriacona») e di non ricordare il cognome dei suoi genitori. Si limita, poi, a fare spallucce davanti alle foto, a lei somigliantissime, di Peki («È un’altra persona»). «Solo gli stupidi dicono la verità»: Enigma cita Dalì. La sua musa avrebbe mentito per tutelare la sua carriera, così lascia intendere il finale fin troppo moraleggiante. Il prezzo da pagare sarebbe stato la solitudine, in contrasto con la solidarietà felice del gruppo di amiche di Ashley, orgogliose del loro percorso di vita. Ma la brutalità di questa caccia alle streghe è eticamente discutibile. Lear non avrebbe avuto il diritto di proteggere sé stessa da quelle “presunte” ferite, come meglio credeva? Amanda guarda avanti: «Fra poco tutti si dimenticheranno questo filmetto osceno». D’altronde lei lo ha sempre cantato: importa solo ciò che succederà Tomorrow.


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