Il primo ingaggio professionale pagato e con Andrea Camilleri come regista, un via-vai di fidanzate fra tradimenti e gelosie degni di un film di Rohmer o di una pièce di Marivaux, la decisione di abbandonare l’Accademia d’Arte Drammatica per lavorare sul campo, la prima casa, lo choc della strage di Bologna.
Sergio Rubini aveva 21 anni e l’estate del 1980 rappresentò per lui il momento più formativo della vita. Per questo rimane indimenticabile.
Come arrivò ad essere diretto da Camilleri?
«Ero al secondo anno di Accademia e Andrea era il nostro insegnante: un narratore straordinario che riempiva le aule, adorato da tutti noi. In quell’estate fu incaricato di allestire a Otranto lo spettacolo Ottocento volte no sul sacco della città ad opera dei turchi e chiese a tre o quattro dei suoi allievi di far parte del cast. Io ero fra i prescelti e partii carico di entusiasmo».
E nelle Puglie come andò?
«Faceva un caldo torrido. Alloggiavamo in un magnifico resort: di giorno mare e relax, la sera con il fresco facevamo le prove nel cortile del castello di Otranto. Era il mio primo vero lavoro da attore e in compagnia c’erano dei professionisti come Carlo Hintermann, Carlo Simoni, Mita Medici. Avevo il morale alle stelle».
In quel periodo era innamorato?
«Avevo una fidanzatina, Antonella, che era rimasta a Roma. Ma a Otranto conobbi Carmen: romana, bellissima, tutte le sere veniva a seguire di soppiatto le prove dello spettacolo e scattò tra di noi una forte attrazione che in breve diventò una storia appassionata. Aveva dieci anni più di me, il classico ragazzo con la valigia di cartone che si apriva alla vita: il suo fascino di donna che sapeva stare al mondo mi apparve irresistibile».
E lei mandò avanti i due amori parallelamente?
«Per un po’, poi Carmen pretese che facessi chiarezza e comunicassi ad Antonella che mi ero innamorato di un’altra. Allora mi misi a scrivere alla fidanzata ufficiale delle lettere che puntualmente strappavo, un trucco alla Penelope che venne presto smascherato da Carmen. Non potei sfuggire oltre: così, davanti a lei, telefonai ad Antonella per darle il benservito. Mi costò molto dolore, oggi non lo rifarei. Il senso di colpa non mi ha mai abbandonato».
E come reagì Antonella?
«Malissimo. Aveva 18 anni ed ero il suo primo amore. Rimase talmente ferita che non sono mai più riuscito a farmi perdonare, nemmeno nel corso degli anni. Ma si arrabbiarono anche i miei genitori e mia sorella che, da meridionali, vedevano la navigata Carmen come il fumo negli occhi. Per consentirmi di essere indipendente da lei mi comprarono una piccola casa a Roma».
Come proseguì quell’estate?
«In scena pronunciavo solo due battute ma il lavoro mi prendeva totalmente mentre il mio amore con Carmen continuava generando qualche invidia: lo capii un giorno che giocavo a carte con un collega e quello, per un motivo banalissimo, mi mollò un ceffone. Ma io ero felice e mi sentivo a un bivio, all’inizio di una vita nuova».
In cosa consisteva?
«Innanzitutto decisi di lasciare l’Accademia secondo la leggenda che chi abbandonava gli studi era destinato al successo. Venni subito chiamato dal grande regista Antonio Calenda. Mentre il 2 agosto ero da lui per sostenere il provino, la tv diede la notizia della strage di Bologna: rimasi sotto choc, mentre Calenda a sua volta sconvolto mi aiutava a capire l’enormità di quel fatto che avrebbe segnato la storia del nostro Paese».
L’amore con Carmen andava avanti?
«Certo. Vivevo come uno studente fuori sede ma grazie a lei imparai ad allargare i miei orizzonti, a vestirmi alla moda saccheggiando perfino il suo guardaroba, a capire il mondo mentre il lavoro procedeva a gonfie vele: dopo Calenda, ebbi altri ingaggi prestigiosi e feci una tournée negli Usa dove Carmen mi accompagnò, a Broadway vedemmo Al Pacino in scena. Ma poi la nostra storia si esaurì».
Per quale motivo?
«Nella mia vita si riaffacciò Helen, una ragazza svedese con cui avevo avuto un legame anni prima. L’attrazione del Nord fu irresistibile e decisi di tornare con lei. Carmen non la prese bene, con mia grande sorpresa: non sapevo guidare, non avevo un soldo, non facevo parte dei giri giusti e tutto sommato ero ancora un provinciale. Pensavo di toglierle un peso, invece il suo orgoglio ferito la portò a reagire con risentimento».
Fu difficile vivere senza di lei?
«No, mi stavo stabilizzando. Facevo teatro da solo, raccoglievo molte soddisfazioni e qualche anno dopo incontrai Margherita Buy (sarebbe diventata la sua prima moglie e compagna di scena, ndr). Anzi fui proprio io a scoprire, vedendola recitare, il suo talento fuori dal comune e a lanciarla presentandole il mio agente».
È rimasto in contatto con le donne che movimentarono quella sua estate di 45 anni fa?
«Più o meno con tutte, solo Antonella è sparita dalla mia vita e non per mia scelta. Mi dispiace».
Ne ha fatte soffrire molte altre nella vita?
«Sì, ma anch’io ho sofferto tanto per amore. Eppure non mi sono legato al dito nulla, non ho conti in sospeso né sentimenti “obliqui”. Il mio ideale è Vittorio Gassman».
Perché?
«Sognava di incontrare tutte le donne della sua vita perché ciascuna di loro l’aveva segnata. Pure io, invecchiando, vorrei condividere la mia storia con le antiche fidanzate. Perderle per la strada sarebbe un peccato».
Cosa direbbe ad Antonella?
«Che sono sempre pronto a chiederle perdono».
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