Che Argentina è quella che l’Italia ritroverà dopo 21 anni dalla finale delle Olimpiadi di Atene 2004? Una cosa è chiara ed ovvia: di allora non c’è più nessuno. Nemmeno nello staff tecnico, che ha ragionevolmente altri piani. L’ultimo a non arrendersi, all’atto pratico, è stato Carlos Delfino: fino a pochi mesi fa ha giocato a Cento, in A2, poi un infortunio l’ha fermato e le ultime notizie riportano che l’ex NBA ha ricevuto il diploma di livello 3 del corso nazionale allenatori di Argentina.
Certo è che la storia dei 21 anni successivi di pallacanestro del Paese sudamericano, va detto, è stata spesso piena di tentativi di alzarsi verso l’alto, verso le vette maggiori dei contesti mondiali. Il tutto a quasi un secolo di distanza dalle prime avvisaglie della pratica del “basquetbol” (e non “baloncesto”: in Argentina si usa il castigliano rioplatense, con forte influenza italiana e in particolare napoletana). Era un’Argentina che raccoglieva l’eredità del primo Campionato Mondiale ospitato e vinto in casa, di Oscar Furlong, del golpe del 1955 (la Revolucion Libertadora che rovesciò Peron) e delle conseguenze sul basket, con 35, campioni mondiali compresi, cacciati perché simpatizzanti del peronismo. Non ci sarebbe più stata un’Argentina realmente forte fino alla fine delle varie dittature militari (l’ultima delle quali causò il boicottaggio di Mosca 1980).
Quella Generacion Dorada di cui la massima espressione si ebbe ad Atene 2004 cominciò nel 1995, con Fabricio Oberto e Ruben Wolkowyski present nel roster che vinse i Giochi Panamericani. Pian piano arrivarono tutti: Manu Ginobili che fu portato a Reggio Calabria da Gaetano Gebbia, Luis Scola che era nel blocco dell’allora Tau Vitoria, Andres Nocioni e poi tanti altri, compreso Hugo Sconochini che in Italia abbiamo conosciuto, e conosciamo tuttora, benissimo. Fu con loro che l’Argentina divenne la prima squadra a battere Team USA con i giocatori ai Mondiali di Indianapolis 2002. Rassegna iridata, questa, che perse all’overtime in finale solo perché l’ultima squadra chiamata Jugoslavia (poi Serbia e Montenegro, prima della separazione) vide scatenarsi Dejan Bodiroga. Poi ci sarebbe riuscita di nuovo nel 2004, in semifinale olimpica, prima di battere quell’Italia da cui aveva perso nel girone eliminatorio.
Da allora l’Argentina è rimasta nelle parti alte del basket mondiale. E l’ha fatto sia nell’intero continente americano preso estesamente, con una grande continuità nell’AmeriCup, sia a livello mondiale. Ma andiamo con ordine. Dopo il successo olimpico, la selezione albiceleste è arrivata seconda, dietro al Brasile, nell’American Championship (oggi AmeriCup, i campionati americani). E, ai Mondiali 2006, ci fu la semifinale con la Spagna che fece da perfetto contrasto a Grecia-USA di poche ore prima. Famosissimo, con un basket offensivo al massimo, il colpo di mano degli ellenici, meno noto, ma di qualità e con un basket difensivo da vedere e rivedere, il confronto latino: finì 75-74 per la Spagna con Nocioni che ebbe, dall’angolo, il tiro della finale. Non entrò, e stavolta gli States furono spietati nella finale 3°-4° posto.
Una sfida, quella USA-Argentina, che si sarebbe rinnovata nei due anni successivi. All’AmeriCup, innanzitutto: a Las Vegas venne quello che è poi diventato il Redeem Team, la squadra che era di Kobe Bryant, Carmelo Anthony, Jason Kidd e LeBron James e che vinse largamente contro chiunque, Argentina compresa. E lo fece anche nella semifinale del 2008, con Chris Paul e Dwyane Wade dentro. La Generacion Dorada, però, il bronzo se lo portò a casa, battendo la Lituania. Quella stessa Lituania che, due anni dopo (e con un roster un po’ diverso e senza Ginobili), avrebbe incassato la vittoria nei quarti dei Mondiali.
Ci furono tutti i big per la vittoria dell’AmeriCup nel 2011, organizzata in casa, e ancora alle Olimpiadi, quelle di Londra, l’Albiceleste dei canestri andò molto avanti. Fino in semifinale: ancora sbatté contro gli States e, alla fine, cedette il terzo posto alla Russia. Si stavano vivendo momenti di ricambio, alcuni si infortunavano, e sotto queste premesse arrivò l’11° posto ai Mondiali 2014, per di più perdendo contro il Brasile negli ottavi. Nel 2016 l’ultima danza alle Olimpiadi di Manu Ginobili, anche con un colmo di sfortuna: girone con 4 squadre a 3 vittorie e 2 sconfitte, l’avulsa piazza l’Argentina quarta e “regala” gli USA come premio. Era troppo per una Generacion Dorada che stava svanendo. Ma qualche colpo da piazzare ancora ce l’aveva.
Quel colpo iniziò a prendere forma ai Panamericani del 2019, vinti con Scola in campo e con una maggiore importanza rispetto ad anni passati in cui i roster erano (molto) inferiori rispetto a quelli presentati in AmeriCup. E quel colpo ebbe un clamoroso rivelarsi ai Mondiali di Cina, dove molto semplicemente cominciò ad accadere l’inimmaginabile. Tre vittorie, poi altre due, Scola ringiovanito, Gabriel Deck in signor spolvero, Facundo Campazzo sempre più in grado di regalare assist a pioggia, poi i quarti di finale con la Serbia ricordati come una partita tra le più belle dell’edizione. Da quel 97-87 si passò all’80-66 sulla Francia, che aveva appena regolato il Team USA delle mille rinunce, e fu di nuovo la Spagna nel destino dei sudamericani, battuti senza mai riuscire a battersi. Vennero di seguito le Olimpiadi, nel 2021 e non nel 2020 causa Covid, e così venne anche l’ultima recita a cinque cerchi di Luis Scola, chiusa da una sconfitta pesantissima contro l’Australia nei quarti. Ma, nel 2022, sarebbe arrivata un’altra affermazione all’AmeriCup, per di più in Brasile e con il già citato Delfino ancora a colpire.
E poi cos’è successo? Sono arrivati gli ultimi tre anni. 2023: l’Argentina non si qualificò per i Mondiali. Quelli che, con l’Uruguay, aveva tentato di ospitare. Perse una partita nella prima fase con il Venezuela, un’altra con la Repubblica Dominicana nella seconda, e quelle furono fatali per non andare alla rassegna iridata. Di più: costrinsero a giocare il torneo di prequalificazione ai Preolimpici. Dove, però, l’Argentina sarebbe stata attesa da una brutta sorpresa. Nel torneo americano si trovò di fronte non una, ma due volte, le Bahamas, che oltre ai nativi DeAndre Ayton e Buddy Hield poterono contare su Eric Gordon, già Campione del Mondo 2010 con gli USA, perché la FIBA consente oggi di poter effettuare il cambio per un Paese cestisticamente in via di sviluppo se questo è “per il miglior interesse del basket”. Tant’è: le Bahamas non solo batterono a Santiago del Estero un’Argentina comunque competitiva (Brussino, Deck, Vildoza, naturalmente Campazzo) in finale, ma arrivarono anche a un passo dalle Olimpiadi, fermate dalla sola Spagna.
Ritorniamo alla domanda iniziale: che Argentina ritroverà l’Italia? Una diversa. Molto. Sta preparando la difesa dell’AmeriCup a Managua, nel Nicaragua (si giocherà dal 22 al 31 agosto), e lo sta facendo con 14 giocatori che segnano quasi un cambiamento di rotta totale. Una nuova era, vuoi per assenze, vuoi perché esiste il ricambio. I nomi più importanti sono quelli di Nicolas Brussino e Juan Ignacio “Juani” Marcos, l’uno del Gran Canaria, l’altro del Barcellona (ci era cresciuto, è stato ripreso quest’anno da Girona). Unico negli USA, a livello NCAA (Arizona State), è Santiago Trouet, mentre molti giocano spesso in Liga ACB o, più raramente, in Argentina. In preparazione ha messo insieme un 4-1 con vittorie contro Angola (2), Sud Sudan e Portogallo e sconfitta contro la Costa d’Avorio. Pur con le discese dell’ultima coppia di anni, l’Argentina è tuttora ottava nel ranking mondiale. Va però detto che questo si basa sulle performance degli ultimi otto anni, per cui ancora risente di successi importanti come il secondo posto iridato del 2019 e la vittoria dell’AmeriCup 2022. Con quella del 2025 che, però, si annuncia come un’edizione non troppo facile.