Ci sono film che entrano immediatamente nella storia, accolti fin da subito come capolavori indiscussi, e altri che invece impiegano anni, se non decenni, per essere rivalutati. Spesso, il tempo diventa il vero critico d’arte, capace di farci riscoprire opere che all’uscita erano state ignorate, fraintese o addirittura stroncate. È il caso di Shining, il capolavoro del 1980 diretto da Stanley Kubrick e tratto dall’omonimo romanzo di Stephen King, oggi considerato uno dei film horror più influenti di sempre ma che, all’epoca, fu accolto con freddezza e diffidenza.
Quando uscì nelle sale, Shining non fu il successo unanime che si potrebbe immaginare. Anzi, molte recensioni dell’epoca furono negative: il critico Gary Arnold del Washington Post scrisse che il film era «un viaggio senza meta attraverso un incubo visivo e sonoro», mentre Pauline Kael del New Yorker lo definì «deludente e lento». Non solo: Shining fu candidato ai Razzie Awards, considerati l’equivalente al contrario degli Oscar, con nomination a Peggior Regista per Kubrick e Peggior Attrice per Shelley Duvall, indimenticabile nella parte di Wendy anche per via dei tristi retroscena che riguardano il rapporto tra lei e il regista.
Anche Stephen King, autore del romanzo, espresse apertamente il suo disappunto, affermando che «Kubrick ha realizzato un’autoillustrazione glaciale, senza cuore, che non ha niente a che fare con il mio libro». A suo dire, il film mancava della componente emotiva e umana della storia originale, sostituita da un formalismo estetico che, all’epoca, molti spettatori interpretarono come freddezza.
Col passare degli anni, però, il giudizio è radicalmente cambiato. Le atmosfere inquietanti, la fotografia di John Alcott, l’interpretazione disturbante di Jack Nicholson e l’uso innovativo della steadicam sono diventati punti di riferimento per il cinema horror e non solo. Scene come «Here’s Johnny!» o il corridoio in cui compaiono le gemelle sono entrate nell’immaginario collettivo e sono oggi citate, parodiate e studiate in scuole di cinema di tutto il mondo.
Quella che inizialmente fu vista come «un’opera fredda e respingente» è oggi interpretata come una scelta artistica precisa, capace di trasmettere un senso di isolamento, follia e claustrofobia che pochi altri film hanno saputo eguagliare. L’accoglienza della critica moderna è quasi unanime: Shining figura stabilmente nelle classifiche dei migliori film di sempre, e la sua influenza è rintracciabile in decine di opere contemporanee.
Il tempo, insomma, ha ribaltato un verdetto che sembrava scolpito nella pietra. Da film «tra i peggiori» secondo i premi al contrario, Shining è diventato un caposaldo della settima arte, dimostrando che a volte serve guardare oltre la prima impressione per riconoscere un vero capolavoro.
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