Mentre negli uffici della Kyria, il cuore della Difesa israeliana a Tel Aviv, si definiscono i piani per l’ampliamento dell’intervento militare nella Striscia di Gaza, da qualche altra parte, in grandi stanze certamente meno blindate, tra gli Stati Uniti e le diverse capitali del Medio Oriente si cerca di tessere, tra stucchi e decori, la difficile tela del dopoguerra. E dalla polvere che avvolge i 360 chilometri quadrati dove infuria la guerra, filtrano indiscrezioni che – se confermate – aprirebbero uno squarcio nel buio. Ci sarebbe un nome di un futuro governatore che incontrerebbe il favore di un largo schieramento. Si tratta di Samir Halilah, imprenditore palestinese di lungo corso con un passato di tecnico nel governo dell’Anp guidato da Ahmed Qurei, e con solide amicizie nel mondo degli affari e della finanza internazionale. Laddove la politica e la diplomazia sembrano impantanate tra i “niet” e i veti incrociati, una spinta alla soluzione della complicata gestione del dopo-guerra potrebbe venire proprio dall’ambiente dell’economia dove Halilah vanta un passato e un presente che lo hanno reso un candidato credibile non solo per i Paesi della Lega Araba (Arabia Saudita, Egitto, Giordania, Qatar, Emirati), Autorità Nazionale Palestinese e Hamas ma anche per gli Stati Uniti e Israele.
LA RIVELAZIONE
A rivelare la possibile convergenza su questo nome è il sito Ynet, versione online del quotidiano Yedioth Ahronot, il più diffuso giornale israeliano che cita anche un’intervista rilasciata dallo stesso Halilah all’agenzia Mana’a, vicina al governo di Ramallah. Nelle sue dichiarazioni l’uomo d’affari che ha guidato fino a qualche mese fa la più importante holding palestinese usa toni comprensibilmente più cauti dicendo di vedersi piuttosto nel ruolo di «project manager» per la ricostruzione, ma poi indica una serie di punti che hanno tutte le sembianze di un programma di un futuro governo di Gaza: si parla ovviamente della fine del conflitto con una gestione della sicurezza all’interno della Striscia da parte di un’autorità «né dell’Anp né di Hamas», ma rispettata e riconosciuta dai residenti. «Il territorio – aggiunge Halilah – non può essere inondato di armi provenienti da Hamas o dalla Jihad», e quanto all’aspetto umanitario «l’obiettivo è di quasi raddoppiare il numero di camion che entrano ogni giorno nella Striscia passando da 600 a un migliaio, attraverso quattro o cinque altri varchi da aprire senza restrizioni». Un impegno sull’ordine stimato di 53 miliardi di dollari il cui onere maggiore graverebbe sui Paesi del Golfo e con la speranza di coinvolgere nell’impresa anche Stati Uniti e l’Unione europea.
IL DOSSIER
Secondo quanto ammette nell’intervista all’agenzia palestinese «la questione della sua nomina a governatore di Gaza sarebbe discussa all’interno della leadership palestinese da un anno e mezzo», e il sito israeliano aggiunge il particolare non trascurabile che i relativi documenti sarebbero stati presentati al Dipartimento della Giustizia Usa. Dunque una storia cominciata tempo fa ma che ha subito una forte accelerazione dopo una serie di incontri negli Stati Uniti e grazie ai contatti mantenuti in Egitto. Ma fondamentale verso la leadership israeliana sarebbe stato l’intervento del lobbista israelo-canadese Ben Menashe, ex agente dei Servizi segreti entrato nel mondo degli affari che ha anche aggiunto qualche altro particolare sul piano che prevedrebbe l’adozione di uno statuto speciale per la Striscia, e perfino gli sbocchi di un porto e di un aeroporto da costruire nel Sinai con il via libera egiziano e lo sfruttamento dei giacimenti marini di gas.
Sul fronte americano un ruolo non meno decisivo potrebbe averlo avuto un miliardario palestinese -americano amico di Trump, Bashar Al Masri, un imprenditore visionario che ha ideato la città di Rawabi, a una manciata di chilometri da Ramallah, diventata un crocevia dell’high tech e un incubatore dove si è realizzato il sogno di una collaborazione israelo-palestinese che sembrava impossibile. Un candidato dunque con un passato vicino all’Autorità palestinese, ma soprattutto con un accentuato profilo tecnico che consentirebbe superare il veto di Netanyahu di consegnare la Striscia all’Anp di Abu Mazen. E al tempo stesso di raccogliere il favore dei Paesi della Lega araba e della stessa Autorità. Resta solo un interrogativo: questa fuga “pilotata” di notizie è stata voluta per aiutare Halilah o per bruciarlo?
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