di
Marco Imarisio
Un tempo vicino allo «zar», ora critico verso il Cremlino: Abbas Gallyamov spiega perché la Russia è in difficoltà
«La stupirò, ma per una volta non sono pessimista. Donald Trump è in grado di spezzare la testardaggine di Vladimir Putin. Con quel misto di minacce e lusinghe che lo contraddistingue, cercherà di convincere il presidente russo a “non deludere un amico” e quindi a fermare in qualche modo la guerra. Potrebbe anche riuscirci». Sono giorni di lavoro intenso per tutti quelli che da quattro anni a questa parte definiamo come esperti, analisti, oppure osservatori talvolta bene informati, che siano fedeli al Cremlino oppure oppositori in esilio. Richieste di interviste, soprattutto dai media americani, offerte di articoli, domande per semplici dichiarazioni, tutti sintomi della frenesia agostana che si è scatenata dopo l’annuncio dell’incontro di domani in Alaska.
Abbas Gallyamov appartiene alla seconda categoria. A soli 53 anni, può vantare una storia personale sovrapponibile in parte con quella del suo Paese di provenienza. All’inizio degli anni Duemila è il capo ufficio stampa e il portavoce del partito liberale “Unione delle forze di destra” la creatura fondata da Egor Gajdar, Boris Nemtsov e Anatolij Chubajs che avrebbe dovuto essere una alternativa all’insorgente putinismo e invece affondò miseramente per tradimenti e liti tra i principali protagonisti. Negli anni 2008-2010 lo ritroviamo come speechwriter dell’allora primo ministro Putin. Poi torna nella Repubblica di Bashkortostan, dove aveva cominciato la carriera politica, come vicecapo amministrazione del presidente, poi si dissocia, poi organizza diverse campagne elettorali di candidati democratici. All’inizio del 2022 viene dichiarato agente straniero ed emigra in Israele.
Le sue opinioni sono quasi sempre urticanti, spesso modellate sulle aspettative del pubblico della diaspora russa che lo segue numeroso sui suoi canali social. Ma in questo caso, Gallyamov sente di essere davanti a una possibile svolta, per quanto parziale. «Secondo me il vertice di domani non porterà a un completo arresto dei combattimenti. Piuttosto ci si limiterà a quello che loro chiamano la tregua aerea. Non so se riguarderà anche la linea del fronte, ma è possibile che si accordino per non sparare sulle retrovie l’uno dell’altro. Ma non credo proprio che non ci sarà alcun risultato. Sarebbe un fallimento troppo grande, per entrambi. E se durante l’ultimo incontro con Steve Witkoff al Cremlino non fosse stato pattuito qualcosa, degno di essere sancito dall’incontro personale dei presidenti, non si sarebbero visti».
Gallyamov contesta anche la tesi che Putin sia già il vincitore designato, comunque vada. «La situazione si può riassumere così con un modo di dire russo: la serata ha smesso di essere languida. La Russia ha ancora una riserva di resilienza, ma non è più così consistente. Se Trump comincia a premere sul serio, la Russia potrebbe affrontare quello che sta già sperimentando l’Iran: un Paese che naviga nel petrolio e nel gas ma lamenta la mancanza di elettricità. Putin non è ancora stretto al muro e può resistere, certo. Ma le risorse economiche si vanno esaurendo, e lui comincia a rendersene conto. Trump invece vuole ottenere certi cambiamenti, come minimo pretende di raggiungere questa tregua nei cieli. E sta incalzando: o accetti le mie condizioni oppure ci incontriamo e mi spieghi perché non puoi, e poi insieme pensiamo come cavarcela, perché sono stanco di salvarti sempre. Tralasciando la luce riflessa e mediatica dell’incontro in sé, non mi sembra che il presidente russo abbia questa grande forza nelle trattative».
La posizione di Trump è diversa, almeno al punto di partenza. «Lui può permettersi di dire una innegabile verità a Putin: ti offro condizioni meravigliose, sappi che nessun altro te le offrirà. Biden voleva per il presidente russo il tribunale dell’Aia e la galera? Io, inteso come Trump, ti propongo il non ingresso ucraino nella Nato, il nostro riconoscimento della Crimea, il resto del Donbass, l’abolizione delle sanzioni e affari che sarebbero un toccasana per la Russia. Io credo che Putin sappia che Trump è un interlocutore comodo, ma al tempo stesso avrebbe voluto prendere ancora tempo. Ora qualcosa dovrà dare. Se non altro, grandi progetti comuni, vendita di grandi raffinerie, progetti per il gas, e qualcosa ovviamente in Ucraina. Forse anche altrove, ad esempio in Venezuela. Per Putin, Trump è un dono del cielo, ma da non sperperare, in nessun caso. Altrimenti, la sera della Russia potrebbe farsi davvero buia».
14 agosto 2025
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