di
Matteo Castagnoli e Pierpaolo Lio
Il racconto dei 4 bambini che hanno investito la 71 enne: «I freni erano difettosi». La Procura valuta l’affido in comunità. Ma ieri sera al campo rom gli agenti non hanno trovato nessuno
«I freni non funzionavano bene, e ho preso la signora». E perché dopo l’incidente vi siete allontanati? «Ci siamo spaventati e siamo scappati». Dopo il furto dell’auto, la corsa in strada, il botto, la fuga a piedi, dopo tutto questo i quattro che erano a bordo, poco più che bambini, avrebbero preso il tram «15» per andare a farsi un giro tra le vetrine di un centro commerciale della zona: «Siamo andati al Fiordaliso».
A raccontarlo davanti agli agenti del Radiomobile della polizia locale, che nell’arco di 36 ore dall’incidente mortale di via Saponaro a Milano li hanno fermati all’interno di un piccolo accampamento di camper e roulotte, è un ragazzino di solo 13 anni. Ed è il più grande dei quattro. È anche quello che lunedì era al volante della Ds4 rubata il giorno prima a dei turisti francesi e poi lanciata in strada fino allo schianto che sarà fatale per la 71enne Cecilia De Astis. Gli altri che erano con lui sono il fratellino 12enne, la cuginetta di 11, e un amico 11enne, tutti italiani di origini bosniache.
Quando al 13enne i vigili chiedono di ricostruire la dinamica dello schianto, il ragazzino ammette quello che è successo. Fatica a parlare italiano: la scuola non l’avrebbe frequentata. Ma prova a spiegare di aver perso il controllo dell’auto per un problema ai freni. Poi, la fuga. Dietro di loro, il caos. Se ne vanno da quel tratto di via Saponaro, stravolto dalle lamiere dell’auto che ha falciato tutto quello che s’è trovata davanti. E che ha ucciso la signora Cecilia, scaraventandola a terra, senza vita, dopo averla centrata mentre passeggiava per il quartiere Gratosoglio, dove oggi saranno celebrati i funerali. Le sue parole sembrano convinte, sincere. E avrebbero lasciato in chi ha parlato con lui l’impressione che i quattro non fossero davvero consapevoli di cosa avevano provocato. E lo stesso fa pensare il luogo scelto per rifugiarsi: «Dopo siamo andati al Fiordaliso», ammetterà sempre il 13enne.
È lo stesso centro commerciale del vicino comune di Rozzano in cui, giorni prima, il gruppo di amici aveva acquistato a pochi euro quelle t-shirt dei Pokemon che i tre maschietti avevano indosso e con cui sono stati rintracciati. Ci sarebbero arrivati con i mezzi pubblici. E ci avrebbero passato parecchio tempo. Perché, a «casa», al piccolo campo nomadi tra le stradine sterrate, ci faranno ritorno quando è già sera.
Quando escono dal comando, martedì sera, su disposizione della Procura dei Minorenni sono stati riaffidati alle madri. Ieri mattina, con le roulotte, dall’insediamento di via Selvanesco sono andati via una carovana di due mamme e quindici bambini. All’appello mancano anche alcuni dei quattro dell’incidente di via Saponaro. Riappariranno un paio d’ore più tardi, i vigili a controllarli a distanza dopo averli intercettati in zona: «Siamo solo andati a fare la spesa», dicono. In quel pezzo di giornata, a presidiare l’area sterrata era rimasta immobile la «nonna», la più anziana delle famiglie del campo rom. Che per tutto il tempo difende il resto della famiglia: «Siamo liberi. Qui ci siamo noi. Non ci interessa cosa fanno gli altri. I bambini sono stati riaffidati ai genitori. Vogliamo libertà», per poi gridare e lanciare pietre verso fotografi e telecamere indesiderati.
Intanto gli agenti, su input della Procura, documentano le condizioni di vita dei bimbi nel campo. Sarà uno degli elementi — insieme alla frequenza scolastica e ad altre eventuali segnalazioni — che servirà per valutare se e quali provvedimenti adottare. Per i quattro, che potrebbero anche essere allontanati dalle famiglie, o essere collocati in comunità, se ritenuti particolarmente pericolosi socialmente. E per i genitori, per la mancata vigilanza sui figli. Tutti provvedimenti che non possono essere presi d’urgenza, ma con cautela, nell’interesse primario del minore.
Ma anche ieri sera, a chi s’addentrava fino a superare la bandiera palestinese all’ingresso al campo, lo spiazzo appariva deserto. Nessuno tra le poche roulotte rimaste: quelle in condizioni peggiori. Non c’erano i furgoni. Né i tanti bambini che in genere affrontavano per primi i visitatori indesiderati. L’insediamento di via Selvanesco sembrava disabitato. Vuoto.
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14 agosto 2025
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