di
Greta Privitera

Parla il fratello del giornalista di Al Jazeera ucciso a Gaza con altri cinque colleghi: «La campagna contro di lui è partita un mese dopo l’inizio della guerra, perché a Israele non piaceva la sua notorietà»

Quando chiedi a un palestinese «di dove sei?», spesso la risposta non coincide con il posto in cui abita, ma con il luogo che la sua famiglia è stata costretta a lasciare ai tempi della Nakba, il grande esodo forzato.
Mahmoud Al Sharif, fratello di Anas, il giovane giornalista di Al Jazeera ucciso domenica con altri cinque colleghi in un raid mirato dell’esercito israeliano, spiega che loro sono «della città di al-Majdal, ora parte di Ashkelon, in Israele. Nel 1948, i nostri parenti si sono stabiliti nel campo profughi di Jabalia, nel Nord della Striscia, dove Anas è nato e ha vissuto». 

Ci parla al telefono nel terzo giorno delle celebrazioni del funerale del fratello minore. Accanto a lui c’è la moglie del reporter, Bihan. «Accetto qualsiasi domanda mi facciate, nel nome di Dio, il Clemente, il Misericordioso», dice Mahmoud. Prima di raccontare chi era Anas, ci tiene ad affrontate le accuse rivolte dall’esercito israeliano che lo ha ucciso «perché terrorista di Hamas»: «È tutto falso, non lo è mai stato. È propaganda. La campagna contro di lui è partita un mese dopo l’inizio della guerra, perché a Israele non piaceva la sua notorietà. A dicembre 2023, ci hanno bombardato la casa e nostro padre è morto».



















































L’esercito ha pubblicato lo screenshot di un messaggio in cui Anas avrebbe esaltato la strage del 7 ottobre, accusandolo di essere a capo di una cellula che lanciava missili e mostrando foto con il leader Yahya Sinwar. «Non era a capo di nulla: era un fotoreporter, un povero uomo di Gaza. Non un miliziano». Si commuove Mahmoud mentre difende Anas: «È doloroso sentire queste parole su di lui che ha vissuto il mestiere come una missione: era tra gli unici rimasti a Nord, lo hanno ucciso ora perché mostrava la carestia». Mahmoud spiega che il fratello non ha mai ricevuto pagamenti dal gruppo terroristico, come ha scritto il portavoce dell’esercito. Prima della guerra è capitato più volte che partecipasse come reporter ai comizi e alle celebrazioni di Hamas e della Jihad islamica perché «fotografava gli eventi politici della Striscia, e poi mandava le immagini alle agenzie. Ma questo non vuol dire essere affiliati».

Mahmoud e Bihan si chiedono: «Perché l’Idf non ha preso di mira solo lui. Sapevano dove stava, ha passato gli ultimi ventidue mesi nella tenda dei media, davanti all’Al Shifa: potevano arrestarlo e interrogarlo. Perché uccidere in questo modo? Come giustificano la morte degli altri cinque colleghi?».

Ci parlano anche di una possibile polemica non arrivata qui: Bihan di cognome fa Sinwar. «Voglio che sia chiaro: non è una parente dell’ex leader di Hamas, come ha detto qualcuno. Sinwar è un cognome molto comune qui».

Mentre Mahmoud è generoso con le parole, Bihan parla poco e lascia che sia lui a raccontare. La voce lieve arriva a malapena al di qua del telefono. «Mi fa soffrire che i miei bambini non cresceranno con il padre», dice. Anas era il papà di Sham e Salah, di 4 anni e 15 mesi. «L’abbiamo visto l’ultima volta una settimana fa. Stava facendo un servizio sui camion degli aiuti bloccati e ci è venuto a trovare», continua la giovane che è rimasta a Nord di Gaza per stargli vicino. In questa guerra sono passati anche tre mesi senza che Bihan lo vedesse. Oggi Sham dice di voler fare la giornalista come Anas. Chiedeva sempre che il cellulare fosse sintonizzato su Al Jazeera «e quando compariva, riempiva lo schermo di baci». «Mio fratello adorava i suoi bambini, era un uomo allegro e molto dolce. È sempre stato ambizioso, aveva studiato Giornalismo e Comunicazione all’Università di Al-Aqsa. Sognava un giorno di andare a Doha e lavorare nella sede centrale di Al Jazeera. Ma non avrebbe mai abbandonato Gaza durante la guerra». Domenica, i due fratelli si sono sentiti al telefono per quaranta minuti. «Mi ha detto che gli avevano proposto di lasciare la Striscia, ma lui ha rifiutato».

14 agosto 2025