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In un’intervista con il Financial Times di qualche mese fa, il regista tedesco Wim Wenders ha detto che i veri protagonisti dei suoi film non sono gli attori, ma i luoghi delle ambientazioni, e che quando decide di scrivere una nuova sceneggiatura parte spesso dalla stessa premessa, ossia sforzarsi di trovare una storia che possa svolgersi «soltanto in quello specifico posto, e non altrove». Per questo motivo i titoli dei film di Wenders, che oggi compie ottant’anni, menzionano spesso una qualche città: Paris, Texas, Il cielo sopra Berlino, Lisbon Story, Palermo Shooting e così via.
L’ultimo che ha diretto, Perfect Days, pur non seguendo questa consuetudine di titolazione, è stato un successo specialmente in Italia anche per come mostra e racconta Tokyo e i suoi quartieri di Shibuya, Asakusa, Sumida e Shimokitazawa.
Uno dei concetti più cari a Wenders è infatti quello secondo cui il paesaggio e la sua osservazione contribuiscono a definire lo stato d’animo dei personaggi, al pari dei dialoghi. Grazie al suo gusto formidabile per le inquadrature, alla capacità di creare sequenze di straordinario impatto visivo e al coinvolgimento di alcuni tra i direttori della fotografia più abili in circolazione, come Robby Müller, Henri Alekan e Franz Lustig, Wenders riesce spesso a nobilitare questo concetto fino all’estremo.
Parlando della sua ossessione per i luoghi, il critico cinematografico Michael Almereyda ha scritto che «Wenders insiste – scena per scena, fotogramma per fotogramma – sul fatto che il cinema è per sua natura il registratore di posti e vite in via di scomparsa, il custode della cultura, il salvatore del tempo perduto».
Oltre all’attenzione per spazi e contesti geografici, in più di mezzo secolo il cinema di Wenders si è distinto anche per la centralità di alcune tematiche ricorrenti. I suoi personaggi non sono quasi mai sedentari, anzi, finiscono quasi sempre per impelagarsi in un qualche tipo di viaggio.
Il protagonista di Alice nelle città è un giornalista tedesco in viaggio negli Stati Uniti che si ritrova a dover accompagnare una bambina in Germania, quello di Lisbon Story un tecnico del suono che si sposta nella capitale portoghese per aiutare un amico regista a registrare e mixare l’audio del suo ultimo film, mentre Nel corso del tempo racconta le vicende di due uomini che si muovono lungo il confine tra Germania Est e Ovest riparando proiettori cinematografici.
Anche nel suo film più famoso, Paris, Texas, il concetto di viaggio è centrale. È un road movie che racconta la storia di Travis, un uomo taciturno che vaga da solo per il deserto, e di suo fratello Walt, che a un certo punto riesce a contattarlo e lo porta a Los Angeles, dove incontrerà suo figlio Hunter, che non vedeva da 8 anni. Dopo il ricongiungimento, Travis e Hunter partono insieme per un viaggio per gli Stati Uniti alla ricerca di Jane, moglie del primo e madre del secondo.
In altri casi i viaggi che Wenders mette in scena sono perlopiù interiori: in Il cielo sopra Berlino, per esempio, il protagonista è un angelo che, stanco di limitarsi a osservare la vita degli esseri umani senza poterla vivere, decide di rinunciare alla propria immortalità per vivere come una persona normale.
Altri temi ricorrenti nel cinema di Wenders sono la solitudine, l’alienazione, la ricerca di identità e il rapporto tra storia e memoria, approfondito anche in curatissimi e premiati documentari. Ma anche la musica e le tradizioni popolari entrano di frequente nelle sue invenzioni, non come semplici elementi di contorno ma come parti integranti della narrazione.
Wenders è nato il 14 agosto 1945 a Düsseldorf, in Germania. Decise di provare a fare il regista nella seconda metà degli anni Sessanta, dopo aver provato senza successo a diventare un medico come il padre. Esordì nel 1967, girando dei corti sperimentali mentre frequentava un corso all’Accademia del cinema di Monaco. Negli anni Settanta diresse i suoi primi lungometraggi, Estate in città (1970), La paura del portiere prima del calcio di rigore (1971) e La lettera scarlatta (1972), che rivelarono il suo interesse per argomenti come viaggi, alienazione e senso di spaesamento.
Questi temi diventarono centrali nella famosa “trilogia della strada”, composta da Alice nelle città (1974), Falso movimento (1975) e Nel corso del tempo (1976). In tutti e tre i casi Wenders scelse come protagonista Rüdiger Vogler, l’attore feticcio della prima parte della sua carriera, che con la sua presenza scenica sobria e misurata riusciva a incarnare alla perfezione il senso di inquietudine e ricerca che Wenders voleva insinuare nel pubblico.
La trilogia fu accolta straordinariamente dalla critica e consolidò la fama di Wenders come uno dei più importanti registi del cosiddetto Nuovo cinema tedesco, accostato a gente come Rainer Werner Fassbinder e Werner Herzog.
Questo successo gli permise di farsi notare dai grossi studi di Hollywood, dove si trasferì per qualche anno. In quel periodo diresse L’amico americano, con Bruno Ganz e Dennis Hopper, e un documentario dedicato alla vita del regista Nicholas Ray. Girò anche Hammett – Indagine a Chinatown, prodotto da Francis Ford Coppola e ricordato soprattutto per via del suo travagliato processo di produzione e per i molti contrasti tra i due.
Nel 1982 Wenders vinse il Leone d’oro al miglior film alla Mostra del cinema di Venezia con Lo stato delle cose, che racconta di una troupe cinematografica bloccata in Portogallo durante le riprese di un film di fantascienza e costretta a fermarsi per mancanza di pellicola e fondi, apprezzato anche per la fotografia in bianco e nero di Henri Alekan.
Il 1984 fu invece l’anno di Paris, Texas, il decimo film di Wenders e probabilmente il più noto. È uno di quei film belli da guardare nel senso più ampio del termine, per la raffinatezza della composizione delle inquadrature di Wenders e per dettagli estetici come le insegne al neon dei motel e dei diner messe in risalto dai brillanti giochi di luce del direttore della fotografia Robby Müller, così come per il modo in cui sono mostrati i sobborghi meno eleganti della periferia di Los Angeles.
Fu il film con cui Wenders vinse la sua prima e unica Palma d’oro al Festival di Cannes, e che consentì a Harry Dean Stanton (che interpreta Travis, il protagonista) di ottenere il suo primo ruolo importante dopo una lunghissima gavetta: ai tempi aveva già 58 anni, e fino ad allora era stato apprezzato soprattutto come caratterista, un attore che interpreta ruoli secondari e bizzarri. Con Paris, Texas Stanton dimostrò di poter essere anche un formidabile protagonista, peraltro rimanendo in silenzio per una buona metà del film. E con quel film cominciò a diventare un attore di culto, accrescendo poi la sua notorietà tra cinefili grazie ai diversi film che fece con David Lynch.
Wenders ha diretto anche documentari molto apprezzati. Il più famoso è Buena Vista Social Club (1999), che segue il viaggio del chitarrista e produttore statunitense Ry Cooder a L’Avana per un progetto particolare: convincere alcune vecchie glorie della musica cubana ormai lontane dalle scene (come Compay Segundo, Ibrahim Ferrer, Omara Portuondo e Rubén González) a riunirsi, fargli registrare delle nuove canzoni in studio e portarle in concerto a New York.
Da questa idea nacque l’omonimo album, uscito due anni prima del film, che ottenne un successo mondiale e contribuì a riportare la musica tradizionale cubana al centro dell’attenzione internazionale; oggi molti critici lo definiscono «il Dark Side of the Moon della world music».
A partire dagli anni Duemila, Wenders si è dedicato soprattutto all’attività da documentarista, lasciandosi ispirare dalla vita di grandi personaggi come la celebre coreografa tedesca Pina Bausch e papa Francesco.
Anche l’ultimo film diretto da Wenders, Perfect Days (2023), all’inizio doveva essere un documentario. È ambientato a Tokyo e racconta la vita semplice e ripetitiva di Hirayama, un addetto alla pulizia dei bagni pubblici del Tokyo Toilet Project, che si trovano nella grande area di Shibuya, uno dei quartieri più conosciuti della città. In realtà i bagni sono proprio la ragione per cui Perfect Days è stato realizzato: il progetto è nato perché l’amministrazione di Shibuya aveva chiesto a Wenders di dedicargli un documentario. Il film ha ottenuto una nomination all’Oscar per il miglior film internazionale.
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