Con l’avanzare della tecnologia e la sempre maggiore diffusione di strumenti come l’Unreal Engine 5, diventa sempre più facile creare produzioni di una certa complessità anche per team non particolarmente grandi, come abbiamo visto qualche mese fa con Clair Obscur Expedition 33 (eccovi la recensione di Clair Obscur Expedition 33). Qualcosa di simile è successo anche per Echoes of the End che, pur non raggiungendo le vette del gioco di ruolo dei francesi di Sandfall Interactive, si è rivelato comunque un prodotto interessante, anche in virtù del prezzo budget con cui viene proposto sin dal lancio. Scopriamo perché, al netto di alcuni evidenti difetti, l’opera prima di Myrkur Games ci ha divertito.

Un’Islanda fantasy

Le vicende narrate in Echoes of the End si svolgono nel regno di Aema, dove sono ben visibili i risultati di un lungo e sanguinoso conflitto tra due fazioni, che ha portato alla nascita di un impero da una parte e alla creazione di piccoli villaggi nascosti nella foresta dall’altra. Noi facciamo parte proprio di questo gruppo di reietti, ma non siamo certo un comune uomo del popolo: la protagonista, chiamata Ryn, è infatti una Vestigia, termine che sta a indicare persone dotate di poteri incredibili ma estremamente difficili da controllare, tanto da rendere queste figure temute persino dai loro cari.

Le disavventure di Ryn cominciano durante una pattuglia in giro per la foresta in compagnia di suo fratello, che finisce nel peggiore dei modi possibili: l’impero rivale si è avventurato oltre i propri confini per impossessarsi del potere delle Egide, enormi strutture di cristallo la cui magia funge da risorsa energetica ed è quindi al centro delle brame di chiunque disponga del potere per assorbirle, come le Vestigie. Ed è proprio qui che la protagonista si ritrova faccia a faccia con una nemica molto più potente di lei, che riesce a metterla fuori gioco e a rapire suo fratello Cor. Inizia così un lungo viaggio alla ricerca del ragazzo, durante il quale la nostra guerriera non sarà sola. Al suo fianco troveremo infatti Abram Finlay, uno studioso proveniente da lontano con cui i rapporti saranno inizialmente tesi, ma che sfida dopo sfida tenderanno ad ammorbidirsi. Tutte quelle dinamiche legate al rapporto tra i due sono nemmeno troppo velatamente ispirate a quelle tra Kratos ed Atreus nel primo God of War facente parte della saga norrena. Troviamo persino l’espediente della barca, che si presenta in un paio d’occasioni, durante le quali l’uomo prova a raccontare qualche aneddoto o comunque prova a chiacchierare con la ragazza, esattamente come nel titolo di riferimento. Peccato solo che, per quanto alcune idee siano interessanti, l’intreccio narrativo e gli stessi personaggi stentano a coinvolgere il giocatore, che si ritrova in balia degli eventi senza affezionarsi a quelle figure o ad avere quella curiosità di scoprire dove vuole andare a parare la storia (crediamo di aver dimenticato dell’esistenza di Cor a un certo punto dell’avventura), che tra l’altro ha ben pochi colpi di scena, tutti più che scontati. Questo non significa che manchino le ragioni che rendono Echoes of the End piacevole da giocare dall’inizio alla fine, ma di certo la storia non fa parte di queste.

Combat system e progressione

Parlando di gameplay, Echoes of the End è un action adventure parecchio lineare, la cui struttura di gioco prevede il costante alternarsi di combattimenti e puzzle. Come potete facilmente immaginare, il combat system del titolo Myrkur Games combina l’uso dell’unica e sola arma in dotazione alla protagonista, la spada, ad una serie di poteri che riguardano prevalentemente la telecinesi, con la possibilità di generare esplosioni oppure di agganciare i bersagli e scagliarli verso un dirupo o contro i loro stessi alleati.
L’idea alla base di questo tipo di interazioni è decisamente interessante, così come lo è quella di far esplodere le torri di guardia per eliminare sul colpo i ranger nemici.

Peccato però che la realizzazione del sistema di combattimento, per quanto gradevole, abbia alcune falle. Un problema su tutti è l’assenza delle cancel: in poche parole, ogni azione non può essere in alcun modo cancellata e bisogna ad esempio attendere che l’animazione di un fendente termini per poter attivare la parata o la schivata. Dal momento che parry ed evasione sono due meccaniche di grande importanza, è facile comprendere come gli scontri diventino a tratti frustranti, costringendo il giocatore a restare sulla difensiva in attesa del momento di fare la parata perfetta, oppure di attaccare a testa bassa sapendo di subire danni che non può evitare. Tale problematica si riflette anche sulle combo avanzate, che richiedono più tempo di quella base per poter essere eseguite nella loro interezza, rendendo di fatto molto meno conveniente ricorrere a queste danze di morte, a prescindere dalla loro efficacia in termini di danno inflitto. Non a caso, i punti abilità ottenuti sconfiggendo nemici li abbiamo investiti principalmente nei poteri e nelle migliorie per la salute, che hanno avuto benefici decisamente più utili rispetto alle combinazioni di colpi extra.

Vi è da considerare poi anche la presenza del buon Abram, che si comporta esattamente come Atreus sul campo di battaglia: a lui è infatti dedicato un apposito tasto, che alla pressione permette di elettrificare i bersagli con effetti che variano in base ai potenziamenti sbloccati. Nelle fasi più avanzate dell’avventura, lo studioso darà un maggiore contributo e, ad esempio, potrà afferrare i nemici per consentire a Ryn di finirli con un brutale colpo finale. Avremmo gradito anche una maggiore varietà di nemici e boss, visto che in entrambi i casi si tende ad affrontare avversari quasi sempre uguali fra loro e ci sono un paio di boss fight che si ripetono addirittura due o tre volte.

I puzzle sono ottimi

La punta di diamante della produzione sono gli enigmi. Sorprendentemente, questo aspetto di Echoes of the End non risulta semplicemente azzeccato, ma curato sin nei minimi particolari. Quello che vogliamo dire è che ogni singolo puzzle proposto al giocatore presenta nella quasi totalità dei casi un livello di complessità perfetto: per risolvere ogni sfida bisogna infatti impegnarsi, ma non vi è nulla di eccessivamente difficile che vi terrà ore davanti allo schermo in cerca della soluzione. Non solo, perché seguendo una filosofia dei titoli old school, Echoes of the End introduce nuove meccaniche in ogni capitolo (ne sono 10 in totale, ciascuno con una durata di circa un’ora o poco più), così da rendere i puzzle sempre freschi ed interessanti.

Se gli sviluppatori hanno deciso di ispirarsi a God of War per tanti aspetti, sono stati ben attenti a non ereditare dagli ultimi capitoli la fastidiosa distribuzione di consigli non richiesti da parte del compagno. In questo caso, infatti, Abram se ne starà zitto e buono e starà al giocatore decidere se premere un tasto per ricevere un suggerimento. Abbiamo apprezzato sia questa scelta, sia l’intelligenza con cui è stata implementata tale dinamica, visto che i suggerimenti iniziali sono molto vaghi e diventano espliciti solo premendo il tasto più volte. Ci sono piaciute molto anche le fasi platform, che per forza di cose si incastrano spesso e volentieri con i puzzle. Ryn è in grado di eseguire doppi salti, schivate aeree e altre mosse speciali che si sbloccano nel corso della storia e che vanno ad ampliare le possibilità offerte in termini di movimento. Peccato solo per le animazioni, che rendono fasi come l’arrampicata non particolarmente belle da vedere, seppur siano piacevoli da giocare. Pur trattandosi di un gioco lineare, sono tanti anche i segreti sparsi in giro per il percorso, grazie ai quali si possono trovare forzieri che forniscono materiale legato alla lore o potenziamenti permanenti a Mana e Salute (vi ricorda per caso qualcosa?). Segnaliamo anche un’insolita presenza in massa di sezioni in discesa libera, probabilmente una vera e propria passione nascosta dei game designer, che ne hanno piazzate decine tra un capitolo e l’altro, forse esagerando un po’.

Uno spettacolo a metà

Altro punto di forza di Echoes of the End è il comparto grafico. Il gioco utilizza in maniera impeccabile l’Unreal Engine 5, dando vita a scenari che mescolano fantasy e scenari mozzafiato ispirati all’Islanda, tutti spettacolari. Vi capiterà a più riprese di restare a bocca aperta di fronte ad antiche rovine, paesaggi naturali o villaggi devastati dalle fiamme, tutti davvero splendidi da vedere. Lo stesso vale per i modelli dei personaggi principali, curati sin nei minimi dettagli, come il tessuto del cappotto di Abram, i cui materiali sono resi in maniera davvero incredibile. Insomma, se giocato con le impostazioni grafiche al massimo delle possibilità, il gioco saprà stupirvi più e più volte.

Purtroppo l’aspetto grafico gode di un’attenzione ben superiore rispetto a quello tecnico in generale. Vi abbiamo già parlato a più riprese delle pessime animazioni, ma possiamo citarvi anche i bug che fanno impazzire l’IA del compagno o i mini freeze (completamente avulsi dalle impostazioni grafiche) che ci hanno accompagnato per l’intero arco della storia, talvolta impedendoci di saltare al momento giusto. Ottimo infine il doppiaggio in inglese, accompagnato dai soli sottotitoli in lingua italiana.