Contrariamente alla percezione comune che i dolcificanti non calorici siano strumenti inerti per la gestione del peso, la ricerca emergente suggerisce una relazione più complessa.
Il punto centrale di questo rapporto è che il sucralosio può paradossalmente aumentare la sensazione di fame, attivando specifiche regioni cerebrali coinvolte nella regolazione dell’appetito.
Scopriamo di più in questo articolo.
Lo studio nel dettaglio
Uno studio pubblicato su Nature Medicine ha evidenziato che i partecipanti hanno riportato una maggiore sensazione di fame dopo aver consumato una bevanda dolcificata con sucralosio rispetto a una con saccarosio (zucchero da tavola).
Le risonanze magnetiche funzionali (fMRI) hanno rivelato un’aumentata attivazione dell’ipotalamo, la regione cerebrale deputata al controllo dell’appetito, in risposta all’assunzione di sucralosio.
Questa prospettiva è ulteriormente rafforzata dalle linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) del 2023, le quali non supportano l’uso di dolcificanti artificiali per la perdita di peso a lungo termine.
Lo studio ha coinvolto 75 partecipanti, tutti di età compresa tra 18 e 35 anni: la scelta di questa fascia d’età è significativa, poiché rappresenta una popolazione di giovani adulti generalmente sani, con profili metabolici e abitudini alimentari che possono differire da quelli di altre fasce demografiche, come gli anziani o i bambini.
Vi sono risultati chiari e coerenti che supportano la tesi centrale sull’impatto del sucralosio sull’appetito:
- aumento della fame auto-riferita: i partecipanti hanno dichiarato di sentirsi più affamati dopo aver consumato la bevanda dolcificata con sucralosio rispetto a quella dolcificata con saccarosio. La differenza nella percezione soggettiva della fame è un indicatore diretto dell’effetto stimolante dell’appetito;
- attivazione ipotalamica: le scansioni fMRI hanno rivelato un’aumentata attivazione nell’ipotalamo dei partecipanti dopo il consumo di sucralosio. L’aumento dell’attivazione in questa regione cerebrale è un indicatore diretto di un’accresciuta segnalazione di fame.
I risultati dello studio supportano e approfondiscono l’ipotesi dell'”inganno cerebrale”: il corpo si aspetta un apporto calorico in seguito a un sapore dolce, e la loro assenza stimola una risposta di fame.
Non è una semplice reazione, ma un’interazione complessa in cui l’input sensoriale (sapore dolce), l’elaborazione neurale (attivazione ipotalamica) e il feedback metabolico (assenza di calorie) creano una disregolazione.
Il cervello, costantemente impegnato a prevedere e regolare l’assunzione di energia basandosi su associazioni apprese, interpreta la violazione di queste associazioni da parte dei dolcificanti non calorici come un deficit, portando a una sovra-compensazione sotto forma di aumento della fame.
Il contesto dei risultati della ricerca
Kathleen Page, dottoressa e autrice principale dello studio, ha chiaramente articolato il legame diretto tra l’attivazione ipotalamica indotta dal sucralosio e l’aumento della sensazione di fame.
Ancora più significativa è la corroborazione clinica fornita da Shiara Ortiz-Pujols, direttrice della medicina dell’obesità presso il Northwell Staten Island University Hospital, la quale ha osservato che gli individui che passano ai dolcificanti non calorici spesso tendono a “eccedere nel consumo di bevande artificialmente dolcificate e a mangiare più del dovuto”.
L’iniziale risposta fisiologica di fame, innescata dall'”inganno cerebrale” descritto nello studio, si traduce in un aumento effettivo dell’assunzione di cibo; un “eccesso” che può essere sia una ricerca consapevole di soddisfazione che una conseguenza inconscia di segnali di fame persistenti.
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Tale comportamento mina direttamente il beneficio calorico inteso dei dolcificanti non calorici, illustrando come un effetto fisiologico possa degenerare in schemi comportamentali deleteri per la gestione del peso.
Sebbene un campione così ampio sia ragionevole per uno studio iniziale di neuroimaging, la specificità dell’età solleva interrogativi: è fondamentale considerare che i risultati, pur essendo robusti per la popolazione studiata, potrebbero non essere direttamente applicabili a individui con condizioni metaboliche preesistenti (ad esempio, obesità, diabete) o a gruppi di età differenti; ciò sottolinea la necessità di future ricerche che includano una gamma più ampia di popolazioni per comprendere appieno l’impatto del sucralosio.
Si tratta di approfondimenti che sfidano la saggezza convenzionale che ha a lungo promosso i dolcificanti senza calorie come soluzioni inequivocabilmente benefiche per la gestione del peso; suggeriscono che la complessità della regolazione dell’appetito va ben oltre il semplice conteggio delle calorie, coinvolgendo intricate interazioni tra il gusto, il cervello e il comportamento alimentare.
Fonti:
- Nature – Non-caloric sweetener effects on brain appetite regulation in individuals across varying body weights