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La decisione di inviare e schierare 800 soldati della Guardia Nazionale a Washington DC è l’ultimo e più evidente esempio dell’intenzione del presidente statunitense Donald Trump di estendere i poteri delle forze armate federali su questioni di cui normalmente non dovrebbero occuparsi. L’operazione è coerente con la retorica di Trump e il modo in cui vuole mostrarsi – un presidente forte che prende i problemi di petto e detesta cincischiare su sicurezza e ordine pubblico – ma sta venendo molto contestata sia sul piano politico che su quello giuridico.

Sebbene sia comune in molti paesi occidentali, tra cui l’Italia, negli Stati Uniti l’esercito federale non ha il compito di pattugliare le strade salvo in casi eccezionali, come i grandi eventi o le emergenze: le operazioni ordinarie di sicurezza e mantenimento dell’ordine pubblico sono svolte dalla polizia e in generale da forze che rispondono ai governi comunali o statali, e non a quello federale. Nel sistema statunitense l’esercito deve occuparsi di difendere i confini e proteggere interessi e persone statunitensi all’estero, anche combattendo.

Nonostante questo, fin dal suo primo mandato Trump ha detto di voler espandere l’utilizzo dell’esercito dentro i confini del paese; l’allora capo di gabinetto John Kelly, un ex generale, disse poi che uno dei suoi compiti più difficili era proprio dissuaderlo dal mettere in pratica questa idea. Anche durante l’ultima campagna elettorale Trump ha promesso più volte di schierare i soldati contro i migranti e contro i manifestanti; in questo secondo mandato ha scelto funzionari fedeli alla sua linea e poco inclini a contraddirlo.

Negli ultimi mesi Trump ha usato più volte l’esercito sul suolo nazionale, estendendone poteri e competenze.

Il palco della parata militare organizzata a Washington per il 250esimo anniversario dell’esercito il 14 giugno del 2025 (AP Photo/Julia Demaree Nikhinson)

A maggio per esempio Trump ha istituito una nuova “zona di difesa nazionale” sul confine con il Messico, aumentando la presenza di soldati e soprattutto le loro possibilità d’azione: all’interno di quella zona i soldati possono perquisire e arrestare presunti migranti irregolari, cosa che prima potevano fare solo gli agenti della polizia di frontiera. Ha anche dato indicazioni perché il Pentagono inizi a usare l’esercito contro i narcotrafficanti.

A giugno, poi, Trump ha inviato quasi cinquemila soldati della Guardia Nazionale e 700 marines a Los Angeles, dicendo di voler ristabilire l’ordine dopo alcune proteste contro l’ICE, l’agenzia federale per il controllo delle frontiere e dell’immigrazione, e le violenze che erano seguite. I soldati non hanno represso le manifestazioni ma hanno pattugliato gli edifici governativi e assistito gli agenti dell’ICE nelle operazioni per arrestare presunti immigrati irregolari. La loro permanenza prevista è passata dai due mesi decisi inizialmente fino ad almeno cinque.

Negli Stati Uniti la Guardia Nazionale è una specie di esercito dei singoli stati: è un corpo di militari e volontari che viene impiegato il più delle volte per aiutare la popolazione durante i disastri naturali o gravi disordini, e che normalmente viene mobilitato dal governatore del suo stato. Raramente viene mobilitata da presidente e governatore insieme.

In California la Guardia Nazionale era stata mobilitata dal solo Trump e contro il parere del governatore, una scelta con pochi precedenti e contestata dai suoi oppositori sia sul piano politico che su quello giuridico. Il governatore Gavin Newsom gli aveva fatto causa, un pronunciamento preliminare ha dato ragione a Trump, stabilendo che la sua decisione fosse consentita dai poteri presidenziali. Il processo vero e proprio è iniziato lunedì.

Un momento della parata militare a Washington del 14 giugno del 2025 (AP Photo/Jacquelyn Martin)

Lunedì, infine, Trump ha deciso di inviare la Guardia Nazionale anche nella capitale Washington DC, per combattere una presunta emergenza causata dalla criminalità di cui ha parlato con grande enfasi ma che non trova riscontro nei dati.

Il particolare status legale di Washington gli dà più opportunità di intervenire: la città non appartiene a nessuno stato, non ha un governatore, la sindaca e il consiglio comunale hanno poteri limitati, le loro decisioni devono passare dal Congresso e dall’amministrazione e la sua polizia può essere mobilitata dal presidente. Che è un’altra cosa che Trump ha deciso di fare, annunciando che metterà la polizia locale sotto diretto controllo federale.

Gli oppositori di Trump lo accusano di stare oltrepassando i limiti del proprio potere e di usare l’esercito per ragioni di comunicazione e per reprimere il dissenso: nel caso delle proteste di Los Angeles, lo hanno accusato di aver provocato le azioni violente di alcuni manifestanti proprio attraverso il dispiegamento dei militari. I suoi sostenitori sostengono invece che stia usando i poteri a disposizione del presidente per ristabilire l’ordine e sanare situazioni gravi che richiedono un intervento drastico.

Trump alla parata del 14 giugno a Washington (AP Photo/Julia Demaree Nikhinson)

Chi contesta giuridicamente l’uso che Trump sta facendo dell’esercito, poi, cita il Posse Comitatus Act, una legge del 1878 che fu approvata per impedire all’esercito federale di intromettersi nelle questioni statali. Il contesto e le ragioni di quel provvedimento erano lontanissime da quelle citate oggi: la legge serviva a permettere agli stati sudisti di introdurre leggi discriminatorie contro i neri senza che il governo federale provasse a immischiarsi.

Si arrivò a quella legge alla fine del periodo storico che viene chiamato Ricostruzione, successivo alla guerra civile che vide gli stati sudisti e schiavisti – i confederati – sconfitti dagli unionisti sostenuti dal governo federale. Dalla fine della guerra per tutta la Ricostruzione, gli stati ex confederati subirono grandi intrusioni e limitazioni di potere da parte del governo di Washington, perché abolissero a tutti gli effetti la schiavitù e smettessero di discriminare gli afroamericani.

Le elezioni presidenziali del 1876 ebbero però un esito molto incerto, che non produsse un vincitore chiaro: davanti al timore di violenze e di una nuova guerra civile, fu trovato un compromesso – il Compromesso del 1877 – col quale di fatto il governo federale rinunciava a molte delle attività di controllo e supervisione degli stati sudisti. Un pezzo di quel compromesso fu il Posse Comitatus Act, che impediva all’esercito di intervenire e quindi permise agli stati sudisti di approvare e applicare le cosiddette leggi Jim Crow, che sistematizzarono la segregazione razziale.

Da allora e per quasi 150 anni, il Posse Comitatus Act ha largamente limitato la presenza dell’esercito sul territorio nazionale; peraltro in un paese in cui culturalmente la reticenza verso l’uso interno dell’esercito arriva anche dal periodo di governo coloniale del Regno Unito. La decisione di Trump di interpretare diversamente questa norma, creando deroghe e nuovi approcci, sarà esaminata innanzitutto durante il processo in corso in California; ma è facile immaginare che un ricorso dopo l’altro la questione arrivi davanti alla Corte Suprema.