Un film che raccontò e segnò un’epoca. Cinquanta anni fa usciva in sala Amici miei, uno dei capolavori di Mario Monicelli che resta oggi un racconto tanto giovane e perenne da essere entrato nel vocabolario per le sue battute memorabili: la “supercazzola” è solo l’esempio più famoso.

Addio a Gastone Moschin: indimenticabile in “Amici Miei”

L’anteprima di Amici miei ebbe luogo nel mese di luglio 1975 al Teatro Greco di Taormina e successivamente la commissione di censura impose un divieto ai minori di 14 anni che, paradossalmente, attirò l’attenzione di un pubblico più vasto e curioso. Uscito in sala a ottobre come “un’altra delle commedie all’italiana”, il film non ebbe subito un grande consenso di critica. Ma il crescente favore del pubblico lo impose all’attenzione, fino a trasformarlo nel re del box office: con 7 miliardi e mezzo di incassi fu il film più visto della stagione 1975-76, battendo Lo squalo di Steven Spielberg e Jack Nicholson in Qualcuno volò sul nido del cuculo di Milos Forman.

Nei titoli di testa di Amici miei si legge “un film di Pietro Germi” seguito da “regia di Mario Monicelli“: è l’ultimo omaggio all’autore che aveva concepito il film, ne aveva diviso il soggetto e le idee di sceneggiatura con Piero De Bernardi, Leo Benvenuti e Tullio Pinelli, ma aveva dovuto rinunciare al set per l’aggravarsi della malattia. Fu proprio Germi a chiedere a Monicelli di “completare il lavoro”, salutando la compagnia con la frase “Amici miei, ci vedremo, io me ne vado” che poi, secondo la leggenda, suggerì il titolo.

Lo spunto iniziale fu una storia vera, anche se poi molti elementi vennero apportati dagli autori e dagli interpreti, specie Ugo Tognazzi che amava colorare i suoi personaggi con ricordi di vita vissuta. Così Pietro Germi si ispirò a una storia degli anni Trenta, quando a Castiglioncello, in provincia di Livorno, vivevano realmente cinque giovani che adoravano divertirsi insieme e fare scherzi alla gente: Mazzingo Donati, stimato medico immunologo fiorentino, Ernesto Nelli, architetto, Giorgio Menicanti, giovane nobile del luogo, Silvano Nelli, giornalista, e Cesarino Ricci, collaboratore dell’amico Silvano. Alcuni di loro erano ancora vivi al tempo delle riprese e accettarono di buon grado l’indimenticabile ritratto che ne offrirono Ugo Tognazzi (lo spiantato conte Mascetti), il romantico cronista Philippe Noiret (il Perozzi), il sadico clinico Aldolfo Celi (il Sassaroli), lo sfortunato amatore Gastone Moschin (il Melandri) e Duilio Del Prete (il gestore del Bar Necchi). A quest’ultimo si deve la “zingarata” più feroce, ai danni del pensionato Bertrand Blier (il Righi), mentre la celeberrima idea degli schiaffi in stazione fu messa a punto con la perfida collaborazione di Ugo Tognazzi.

Tra le curiosità ci sono il rifiuto di Marcello Mastroianni che doveva impersonare il Mascetti, ma rinunciò per timore di sfigurare nell’affiatato gruppo e quello di Raimondo Vianello che, si racconta, passò la mano perché le riprese coincidevano coi mondiali di calcio di cui non voleva perdere neppure una partita. Da notare poi che Philippe Noiret, chiamato in servizio all’ultimo anche per ragioni di coproduzione, venne doppiato da Renzo Montagnani che, sette anni dopo, avrebbe preso il posto di Del Prete nel seguito delle ormai popolarissime zingarate per un Amici miei – Atto II ancora diretto da Mario Monicelli, mentre per un terzo e ultimo episodio si passò alla regia di Nanni Loy.

Inutile rievocare tutti gli episodi di una trama che passa da una scena all’altra sul filo dei ricordi del Perozzi e che si avvale del calibrato e velocissimo montaggio imposto da Ruggero Mastroianni, mentre le musiche di Carlo Rustichelli contribuiscono a un sapore nostalgico del racconto che va di pari passo con la sua irresistibile comicità. Infatti la cornice ideata dagli autori ci racconta di una livida alba fiorentina in cui il giornalista Perozzi, rientrando a casa dopo la veglia notturna nella redazione del fiorentino La Nazione, si ribella al sonno, alla normalità della sua vita da divorziato sempre criticato da moglie e figlio e sogna un’altra giornata di vagabondaggi con i suoi amici “bischeri” per “una giornata che non ci sarebbe mai più stata”. Alla fine del film, quando finalmente ha rivisto tanti momenti indimenticabili, Perozzi si stende a letto e viene colto da un infarto fulminante.

Gianmarco Tognazzi: “Ecco come è nata la supercazzola di ‘Amici miei'”

L’ultima “supercazzola” di Perozzi è dedicata al prete chiamato al capezzale e al funerale gli amici, riuniti, si sciolgono in pianto che dopo poco si tramuta in una risata irrefrenabile, in onore alla vita che comunque prosegue. In queste due scene c’è tutta l’anima malinconica di Pietro Germi, ma anche il cinismo, solo apparente, del suo degno continuatore, Mario Monicelli. “La vera felicità – diceva il regista – è la pace con se stessi. E, per averla, non bisogna tradire la propria natura”.

Il 1975 al cinema, l’anno dei capolavori: 12 film, dove vederli oggi e 12 libri per saperne di più

di Alberto Crespi

08 Gennaio 2025