Se Yellowstone è diventata una delle serie (e in seguito un franchise) di maggior successo della televisione americana lo si deve (anche) alle sue location scenografiche e meravigliose. Era solo questione di tempo, quindi, prima che un nuovo titolo ci portasse in un altro parco nazionale statunitense. È ciò che fa Untamed, una miniserie Netflix in sei parti con Eric Bana, ambientata tra le profondità delle foreste di Yosemite. Chi c’è dietro la storia? Lo sceneggiatore di Revenant – Redivivo, Mark L. Smith, che ha co-scritto la storia con la figlia Elle.
La trama di Untamed
La serie si apre con una sequenza mozzafiato: due scalatori tentano di conquistare una montagna risalendo una parete verticale quando, all’improvviso, una donna cade tra i cavi che li collegano. Non adatto a spettatori che soffrono di vertigini. L’incidente dà inizio a un’indagine della polizia per determinare cosa sia successo alla ragazza: è caduta accidentalmente, si è suicidata o è stata sbalzata giù?
Ricardo Hubbs//Netflix
I ranger del parco nazionale arrivano per primi sulla scena, ma anche Kyle Turner (interpretato da Bana), un agente speciale che si occupa di casi in cui c’è un sospetto di omicidio. Sebbene sia un uomo poco collaborativo e irascibile, riceverà l’aiuto del suo amico Paul (Sam Neill), capo dei ranger, e di Naya (Lily Santiago), una giovane ranger arrivata di recente sulla scena, trasferita dalla polizia di Los Angeles.
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Untamed, perché vederlo
Nonostante Untamed si rivolga a un pubblico simile a quello di Yellowstone, e anche qui non manchino cavalli, duri e cappelli da cowboy, non si tratta di una saga western ambientata in un ranch ma piuttosto di una serie di indagini criminali con un caso che si estende per una stagione, intervallato dai drammi personali dei personaggi principali e da altre sottotrame.
Come ci viene raccontato, Yosemite è un vasto territorio naturale di cui i visitatori raramente ne vedono più del 10%. Ciò significa che è un luogo in cui si verificano frequentemente sparizioni, così come altri crimini quali il traffico di droga, abusivi che si stabiliscono nei suoi campi o cacciatori che vagano liberi, e dove parte della cultura nativa sopravvive ancora. In questo modo, l’indagine sul caso si interseca con altre linee che potrebbero o meno essere correlate, comprese le persone scomparse anni fa tra quegli stessi alberi.
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Kyle Turner è, a prima vista, un po’ un cliché: quel lupo solitario, duro e sgradevole, ma anche molto bravo nel suo lavoro; uno di quegli antieroi che andavano tanto di moda in televisione qualche anno fa. Untamed riesce bene a presentarlo da quella prospettiva, ma poi rivela gradualmente perché è così e cosa si nasconde dietro quella facciata, riuscendo a rompere gli schemi del suo stereotipo.
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Oltre a questo successo, la serie ha altri punti a favore: un buon numero di colpi di scena per vivacizzare lo scorrimento dei sei episodi, interpretazioni non brillanti ma sufficienti e un arsenale di paesaggi che è un piacere vedere (nonostante il fatto che la serie ci inganni e sia stata girata nella British Columbia, in Canada e non nel vero Yosemite e, forse, a volte si nota che alcune inquadrature sono state ritoccate al computer).
Nel complesso, la fiction riesce a essere suggestiva e avvincente, sebbene inciampi un paio di volte. Innanzitutto non raggiunge il livello qualitativo di altre offerte di genere simili come True Detective (la prima stagione), pur provandoci. Se all’inizio punta in alto, con il procedere degli episodi ci rendiamo conto di non avere a che fare con qualcosa di eccezionale, bensì con una serie piuttosto convenzionale i cui meccanismi funzionano bene (che a volte, va anche detto, ricorre a soluzioni piuttosto subdole).
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L’altro passo falso di questo titolo, forse, è un finale che non delude, ma che non potremmo definire spettacolare o sorprendente. È una conclusione prevedibile, ma che non cambia molto la percezione della serie, né in meglio né in peggio. Pertanto, Untamed è una buona opzione per una maratona estiva, ma un po’ al di sotto delle aspettative.
Da Fotogramas
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