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Lo scorso aprile il grande campo profughi di Zamzam, che si trova nella regione del Darfur, in Sudan, è stato attaccato dalle Rapid Support Forces (RSF), il gruppo paramilitare che sta combattendo una sanguinosa guerra civile contro l’esercito sudanese. Fin da subito è emerso che le RSF avevano commesso crimini estesi e gravi: 400mila persone sono state espulse dal campo, moltissime altre sono state uccise. Le stime iniziali erano di 400 morti, ma un’inchiesta pubblicata dal Guardian dice che i morti sarebbero più di 1.500.

Il massacro è durato tre giorni. I miliziani delle RSF hanno ucciso decine di persone alla volta. Tante sono morte di fame o di sete mentre cercavano di scappare per raggiungere aree sicure. Moltissime donne sono state stuprate, altre sono state rapite dalle RSF e di loro non si sa più nulla. È assai probabile che le atrocità commesse nel campo di Zamzam siano tra le peggiori compiute dall’inizio della guerra, dove le due parti che si stanno combattendo erano già state accusate di crimini molto gravi. Secondo l’ONU in Sudan è in corso una delle peggiori crisi umanitarie del Ventunesimo secolo, con 12 milioni di sfollati su una popolazione di 50 milioni di persone e almeno 150mila morti.

Governo e RSF non si combattono lungo fronti definiti, e la situazione varia a seconda della regione. Le RSF controllano una buona parte del Darfur, che si trova nell’ovest del paese. Lì una delle pochissime aree controllate dal governo sudanese è la città di Al Fashir. Zamzam, come tanti altri campi per sfollati, si trova nelle sue vicinanze, circa 15 chilometri a sud. Prima dell’attacco, anche Zamzam era controllato dal governo e dalle milizie locali sue alleate.

Questa cartina mostra la situazione in Sudan all’inizio di agosto. Le zone controllate dal governo sudanese sono quelle in rosso, quelle controllate dalle RSF sono in giallo. Al Fashir è quel piccolo puntino rosso, a sud-ovest (in basso a sinistra, nella mappa).

Zamzam è un vasto campo per sfollati costruito nel 2004. Ha dimensioni molto grandi, paragonabili a quelle di una città: si stima che prima degli attacchi delle RSF ci vivessero 500mila persone. Inizialmente era destinato a ospitare le persone che erano state l’obiettivo della pulizia etnica dei Janjawid nei primi anni Duemila.

I Janjawid erano una milizia formata principalmente da popolazioni nomadi che parlavano arabo, che dal 2003 al 2006 fu usata dal governo sudanese per reprimere le rivolte nel Darfur, compiendo massacri e pulizie etniche. È proprio dai Janjawid che nacquero le RSF, che hanno mantenuto la stessa ideologia violenta caratterizzata anche da un profondo razzismo verso le tribù africane locali che non parlano arabo e praticano l’agricoltura. Molti degli abitanti di Zamzam appartenevano a queste tribù, come gli zaghawa e i fur.

Una bambina raccoglie acqua al campo di Zamzam nel 2010

Una ragazzina sudanese aspetta a un centro di distribuzione dell’acqua nel campo di Zamzam, nel 2010 (AP/Nasser Nasser)

Le RSF avevano cominciato ad assediare la città di Al Fashir lo scorso anno. Anche per le persone che abitavano a Zamzam – in grande maggioranza donne e bambini – le condizioni erano diventate difficilissime: di fatto erano bloccate all’interno del campo, che spesso veniva attaccato e bombardato dalle RSF. Gli abitanti di Zamzam avevano scavato molte buche improvvisate, in cui ripararsi quando necessario. Il cibo era pochissimo, era iniziata una carestia e molte persone erano morte di fame.

– Leggi anche: Usare la fame come arma di guerra

Le RSF hanno attaccato direttamente Zamzam l’11 aprile del 2025, entrando dai quartieri più a sud, cominciando a uccidere sistematicamente i suoi abitanti mentre bombardavano il campo e incendiavano le abitazioni. Non hanno incontrato grossa resistenza: il campo era difeso da volontari e da alcuni gruppi locali alleati del governo sudanese e addestrati per proteggere i civili, ma erano troppo pochi rispetto ai combattenti delle RSF.

Una sopravvissuta ha detto al Guardian che i miliziani delle RSF hanno massacrato i civili «come animali». Molte persone hanno cominciato a fuggire verso i quartieri più settentrionali per evitare le violenze.

Nella foto, diversi abitanti del campo di Zamzam scappano dai miliziani delle RSF, durante gli attacchi dello scorso aprile.

Gli attacchi sono continuati fino a domenica 13 aprile. Quella mattina, hanno raccontato i sopravvissuti, c’è stato l’ultimo grande massacro delle RSF. Centinaia di persone si sono radunate in piazza Saloma, nel nord di Zamzam, e nella moschea più vicina. Attorno alle 8 sono arrivati i miliziani delle RSF e hanno fatto uscire tutti dalla moschea. «Hanno cominciato a dividere le persone sulla base della loro etnia e della forza fisica», ha raccontato un uomo di nome Ibrahim. Gli uomini sono stati fatti mettere in fila, e molti di loro sono stati uccisi. Le donne e i bambini con maggiore forza fisica sono stati costretti a trasportare bestiame fino alla città di Kabkabiya, a 170 chilometri di distanza. Poi le RSF hanno attaccato le persone rimaste in piazza. Non si sa quanti siano stati i morti.

Alla fine dei tre giorni di massacri, le RSF hanno permesso alla maggior parte degli abitanti rimasti di andarsene: si stima che l’abbiano fatto circa 400mila persone, che si sono poi dirette soprattutto verso Al Fashir e un’altra città vicina, Tawila. Molte sono morte durante lo spostamento, per mancanza di acqua e di cibo e per altri attacchi delle RSF. Altre sono rimaste a Zamzam: secondo alcune ricostruzioni perché i miliziani volevano lasciarsi la possibilità di usarle come “scudi umani” in caso di contrattacco da parte dell’esercito regolare o delle milizie sue alleate.

Per diversi mesi non è stata chiara la portata del massacro compiuto a Zamzam. La difficoltà di parlare con i sopravvissuti e il fatto che non fosse più possibile entrare nel campo senza il permesso delle RSF hanno reso complicate le ricostruzioni. Si parlava però già di più di 400 morti, una strage enorme, e c’era qualche elemento per dire che erano stati compiuti crimini molto gravi. Ciò nonostante, le reazioni internazionali sono state quasi nulle.

Il 15 aprile, pochi giorni dopo gli attacchi, il governo del Regno Unito ha tenuto a Londra un’importante conferenza internazionale sul Sudan. Eppure, nonostante il ministero degli Esteri fosse stato avvisato già l’11 aprile di quello che era successo, del massacro non si è detto nulla.

Il ministro degli Esteri britannico, David Lammy, alla conferenza sul Sudan organizzata a Londra il 15 aprile

Il ministro degli Esteri britannico David Lammy alla conferenza sul Sudan, organizzata a Londra il 15 aprile (AP/Isabel Infantes)

Alla conferenza erano presenti anche rappresentanti degli Emirati Arabi Uniti, che secondo molti sostengono le RSF con l’invio di armi (un’accusa che loro smentiscono). Secondo la ricostruzione del Guardian, il governo britannico avrebbe potuto sfruttare i preparativi della conferenza per fare pressione sugli Emirati Arabi Uniti, in modo che convincessero le RSF a non attaccare Zamzam. Non lo ha fatto anche per non peggiorare i rapporti diplomatici con gli Emirati, in un momento in cui i due governi stanno negoziando un importante accordo commerciale.

Non è semplice capire cosa stia accadendo ora a Zamzam, che è ancora occupato dalle RSF, né come stiano le persone che sono rimaste. Nelle ultime settimane, i miliziani delle RSF hanno continuato il loro assedio di Al Fashir e hanno attaccato altri campi per sfollati, come quello di Abu Shouk, che si trova alla periferia della città. La situazione, come pure per le persone che sono scappate da Zamzam e che adesso si trovano a Tawila, rimane tragica, a causa della mancanza di cibo e per la diffusione delle malattie, in particolare il colera.

Nel 2023 la Corte Penale Internazionale, che si occupa di investigare e punire i crimini di guerra e i crimini contro l’umanità, ha iniziato un’indagine sui crimini commessi nel Darfur durante la guerra in corso.