Toby Driver e i suoi Kayo Dot sono fin dagli esordi uno dei simboli dell’avanguardismo in campo metal. Anzi, prima ancora, con i Maudlin of the Well, l’artista americano e i suoi talentuosi collaboratori hanno vergato sentieri di note tra l’onirico, l’eccentrico e l’impossibile, portandoci ad apprezzare varie forme di stranezza e atmosfere enigmatiche. Conducendoci in territori stranianti, osando l’impossibile, a volte andando fin troppo oltre nel masticare concetti contorti e labirintici, ma mettendoci sempre cuore, anima e viva convinzione nel proprio lavoro.
Dopo varie mutazioni della stessa materia Kayo Dot, con Driver praticamente unico centro focale del progetto nelle sue varie incarnazioni, è ora arrivato il momento di tornare alle origini e ricongiungersi idealmente con il proprio passato. La line-up attuale della formazione americana è infatti la stessa che concepì nel 2003 lo storico primo album “Choirs Of The Eye”, risuonato per intero in un alcuni tour negli ultimissimi anni, con una data tenutasi anche in Italia, a marzo 2023 a Mantova.

Avendo proprio l’idea di omaggiare quel periodo e operare una continuazione musicale e concettuale con i contenuti del primo album, i Kayo Dot hanno composto “Every Rock, Every Half-Truth Under Reason”: un disco davvero difficile da ascoltare e comprendere, anche per gli standard del gruppo originario di Boston; da una parte, tracce oltremodo sperimentali, spigolose, ostiche, per conto nostro fin troppo ardimentose nel ricercare un’idea di suono fuori da ogni schema e catalogazione. Dall’altro, contenuti lievemente più morbidi e in linea con il materiale più riuscito dei Nostri, quando tessiture impossibili si coniugano comunque a un grande uso della melodia e a un variopinto registro di suoni e suggestioni.
Quale che sia il giudizio su quest’opera non banale e coraggiosa, val sempre la pena di interloquire con Driver, artista di enorme talento e con una devozione assoluta alla propria arte e alle proprie idee. Questo è quanto ci ha detto in quest’occasione.

CON “EVERY ROCK, EVERY HALF-TRUTH UNDER REASON” AVETE OPERATO UNA CONNESSIONE CON IL VOSTRO PRIMO ALBUM “CHOIRS OF THE EYE”, RIUNENDO LA LINE-UP DI QUELL’ALBUM. QUALI SONO LE RAGIONI CHE VI HANNO PORTATO A RITROVARVI A SUONARE TUTTI ASSIEME SU UN NUOVO ALBUM DOPO COSÌ TANTI ANNI?
– “Every Rock, Every Half-Truth Under Reason” segna il ventennale da “Choirs Of The Eye”. Vero, siamo un po’ in ritardo, tecnicamente, il grosso del ritardo è dovuto alla pandemia, ma finalmente nel 2023, a vent’anni da “Choirs Of The Eye”, siamo finalmente riusciti a rimettere assieme la line-up di quel disco.
Abbiamo suonato assieme per un paio di piccoli tour, durante i quali abbiamo suonato l’album per intero, mentre simultaneamente ci siamo messi a lavorare sul materiale poi finito su “Every Rock…”.

COME AVETE LAVORATO SULLE TRACCE? COME SI È SVOLTO IL PROCESSO DI SCRITTURA, RISPETTO A QUANTO FATTO CON GLI ULTIMI ALBUM?
– Penso sia il primo album dei Kayo Dot dove ho scartato interamente la prima parte di materiale prodotta. Un paio d’anni fa avevo sei/sette canzoni in versione demo e le avevo già in parte registrate, ma andando avanti a lavorarci sopra mi ero accorto che non esprimevano quello che volevo, così le ho proprio lasciate stare, ripartendo da zero.
È stata un’esperienza potente, quella di lasciar perdere tutta quella musica e ricominciare da capo. Non è semplice riconoscere quando è il momento di smettere di lavorare su qualcosa, ammettere che non porterà da nessuna parte.
Mentre, una volta che ha preso forma un tipo di tracce che mi convinceva, il processo creativo è andato avanti in modo abbastanza simile a quello di “Choirs Of The Eye”. Ho registrato alcune versioni base delle canzoni e le ho condivise con gli altri del gruppo. Da lì, abbiamo deciso gli arrangiamenti e aggiunto parti nel corso degli ultimi due anni. L’approccio utilizzato è stato proprio quello del nostro primo disco, ci siamo riconnessi con quel lavoro sia musicalmente che spiritualmente, in onore del suo ventennale.

PER DEFINIRE LA MUSICA CONTENUTA IN “EVERY ROCK, EVERY HALF-TRUTH UNDER REASON” AVETE UTILIZZATO LA DEFINIZIONE DI ‘LIMINAL METAL’. COSA SIGNIFICA?
– ‘Liminal metal’ è una definizione scaturita in riferimento a quello che viene denominato ‘liminal horror’, un genere cinematografico incentrato sul disagio di essere intrappolati in spazi inquietanti e intermedi, luoghi che sembrano familiari ma sbagliati, evocando senso di disagio, perché si percepisce di essere sospesi tra il noto e l’ignoto.
Questa atmosfera ha modellato la superficie narrativa e le tematiche artistiche più profonde su cui ruota tutto l’album. Sotto la superficie, il disco è una esplorazione dell’auntologia (tendenza musicale ed artistica ispirata all’estetica del passato, ndr): la sensazione di essere bloccati in un momento in cui il passato si rifiuta di lasciarsi andare e il futuro non arriva mai.
Il risultato è un ciclo continuo senza vie di fuga, specialmente dal punto di vista musicale: nulla progredisce veramente, riappare soltanto sotto forme spettrali.

AVETE DICHIARATO CHE DURANTE LA COMPOSIZIONE DI “EVERY ROCK, EVERY HALF-TRUTH UNDER REASON” AVETE PERCEPITO UNA SORTA DI PRESSIONE, DATA DALLE NUOVE TECNOLOGIE CHE MINACCIANO IL LAVORO DEGLI ARTISTI. PUOI SPIEGARCI COME QUESTA PRESSIONE HA INFLUENZATO LA SCRITTURA DEL NUOVO ALBUM?
– Questo è un altro tema ‘auntologico’ dell’album: lo spettro del futuro influenza il comportamento tenuto nel presente.
Molti artisti si sentono esistenzialmente minacciati dalla crescita e dallo sviluppo della musica generata con intelligenza artificiale. Questo tipo di pressione mi addossa di pressione per come creo oggi, spingendomi a scrivere qualcosa che possa sfuggire alla capacità dell’intelligenza artificiale di predire e riconoscere degli schemi compositivi.
L’obiettivo è rimanere un passo avanti alle macchine, non accelerando, ma cercando di diventare meno intelligibili, meno decifrabili da loro.

IL NUOVO ALBUM È MOLTO ETEROGENEO, POCO PREVEDIBILE SU COME PROSEGUIRÀ DA UN TRACCIA ALL’ALTRA. MI PARE CHE SIA PERSINO PIÙ DIFFICILE CHE IN ALTRE VOSTRE USCITE TROVARE UN PUNTO IN COMUNE FRA LE DIVERSE CANZONI.
PER QUESTO VOLEVO CHIEDERTI SE AVETE SCRITTO IL NUOVO MATERIALE PROPRIO CON QUESTA IDEA, OVVERO DI AVERE MOLTI SUONI E STRUTTURE DIFFERENTI, PER COMUNICARCI QUALCOSA DI DIAMETRALMENTE OPPOSTO DA UN BRANO ALL’ALTRO, OPPURE SE PENSI CHE IN FONDO CI SIA UNA BASE COMUNE A UNIRE LE CINQUE TRACCE DEL DISCO.

– È interessante che tu mi chieda questo, perché l’album è stato composto intenzionalmente con un approccio iterativo, cioè attraverso cicliche ripetizioni degli stessi temi sonori. Ogni traccia rappresenta una nuova evoluzione – o se preferisci, una mutazione – di quella precedente.
Sono intrinsecamente connesse attraverso la rielaborazione di motivi, idee e texture. Anche qua, siamo in presenza di un riferimento auntologico: l’incapacità del passato di lasciarsi andare e dare spazio al tempo presente e al futuro. Anche quando le cose appaiono in modo differente alla superficie, sono in qualche modo segnate, direi pure ‘maledette’, da quanto accaduto in precedenza.

DURANTE “EVERY ROCK, EVERY HALF-TRUTH UNDER REASON” POSSIAMO APPREZZARE SIA CANZONI MOLTO MELODICHE, SIA TRACCE MOLTO SPERIMENTALI E VERAMENTE ARDUE DA DECIFRARE. SOTTO IL PRIMO ASPETTO, HO TROVATO MOLTO RIUSCITA “ORACLE BY SEVERED HEAD”, VICINA AD ALTRI VOSTRI BRANI PARECCHIO SOFT DEL PASSATO. COME È NATA QUESTA TRACCIA?
– Non sono d’accordo sul fatto che vi siano anche canzoni melodiche nel disco, l’album nella sua interezza è stato concepito per essere statico e claustrofobico, come essere imprigionati dentro le mura di una casa abbandonata, o sospeso tra più dimensioni. La melodia, quando la utilizzo, spesso conduce una narrazione lineare, mentre in quest’album ciò non accade.
Detto questo, hai ragione sul fatto che “Oracle By Severed Head” ha un tema sonoro centrale molto forte. La canzone si basa su un singolo accordo di chitarra di undici note, che viene risuonato e trasformato nel corso del brano, dando l’illusione del movimento, pur rimanendo fondamentalmente lo stesso. Si tratta di un altro esempio di auntologia. Da qui, abbiamo espanso la musica con l’intuito, permettendo alle note di evolversi in qualcosa di lussureggiante ed emotivo.

“AUTOMATIC WRITING” È LA CANZONE PIÙ LUNGA DELL’ALBUM, PUR ESSENDO RELATIVAMENTE MINIMALE NELLA STRUTTURA E NEGLI ARRANGIAMENTI, MENTRE RIMANE DECISAMENTE SPERIMENTALE E ASTRATTA NEL SUONO. HA UNA CONCEZIONE PIUTTOSTO ESTREMA, ANCHE PER I VOSTRI STANDARD. QUAL È L’IDEA DIETRO IL PEZZO E COME HAI SVILUPPATO IL PARTICOLARE STILE VOCALE CHE POSSIAMO UDIRE IN QUESTO FRANGENTE?
– Le linee vocali di “Automatic Writing” alternano un falsetto semi-operistico e le spoken word, di fatto nulla di così alieno al mio abituale modo di cantare. Questa canzone la definirei la meno ‘liminale’ del disco, seconda forse soltanto alla già citata “Oracle By Severed Head”. È quella che contiene il maggior numero di strumenti, stratificazioni e che si sviluppa per il maggior tempo.
È così elaborata, nei fatti, che non saremo nemmeno in grado di suonarla nel prossimo tour, perché avremmo bisogno di musicisti aggiuntivi rispetto alla line-up che suonerà dal vivo. Sono d’accordo che sia una canzone piuttosto estrema, in effetti potrebbe anche stare per conto suo in un EP, o fungere da colonna sonora per un corto cinematografico.

ASCOLTANDO ADESSO “CHOIRS OF THE EYE” QUALI SONO I TUOI PENSIERI SU DI ESSO E QUAL È LA TUA CANZONE PREFERITA DEL DISCO?
– Ho un immenso rispetto per quell’album. Ha avuto un forte impatto sulla mia vita e col passare del tempo la sua potenza è andata addirittura crescendo. Quasi ogni giorno ricevo messaggi da qualcuno che mi dice quanto “Choirs Of The Eye” sia stato importante per lui. Questo tipo di longevità e risonanza emotiva sono qualcosa di magico.
Mi viene difficile scegliere una canzone che emerge sulle altre, ti direi “Wayfarer” e “The Antique”.

NEL 2024 TI SEI CONCENTRATO SUL TUO PROGETTO SOLISTA OMONIMO E SUGLI ALORA CRUCICBLE. COSA PUOI DIRCI DEI DUE DISCHI REALIZZATI NEL 2024, “RAVEN, I KNOW THAT YOU CAN GIVE ME ANYTHING” PER TOBY DRIVER E “OAK LACE APPARITION” DI ALORA CRUCIBLE, CHE PRESENTANO ENTRAMBI SONORITÀ MOLTO PIÙ SOFT E SEMPLICI RISPETTO AI KAYO DOT?
– La musica che faccio uscire col mio nome attiene a quelle che io chiamerei ‘gothic ballads’, semplicemente un cantautorato lento e triste, sia nei suoni che nelle liriche. Mentre con Alora Crucible suono musica in gran parte strumentale, semi-ambient, mistica, potremmo quasi chiamarla ‘new age’, dovendo semplificare le cose.
La scorsa estate ho appunto fatto uscire i due album da te menzionati praticamente in simultanea. Anche questo tipo di musica, così calma, mi gratifica tantissimo. Posso suonare con una line-up più ridotta, mentre con Kayo Dot è tutto più potente e complesso e servono in ogni caso più strumenti. Ogni progetto nel quale sono impegnato soddisfa un mio differente bisogno artistico ed emozionale.

MOLTI FAN DELLA TUA MUSICA HANNO TUTT’ORA NOSTALGIA DEI MAUDLIN OF THE WELL, LA TUA PRIMA BAND. QUAL È ATTUALMENTE IL TUO GIUDIZIO SU QUEL PERIODO E GLI ALBUM PRODOTTI ALL’EPOCA?
– Come per “Choirs Of The Eye”, ho un grandissimo rispetto per tutto quello che abbiamo fatto come Maudlin of the Well. Quella musica persiste nel trovare nuovi, giovani fan che vi si avvicinano, nonostante noi non facciamo nulla per promuoverla, non abbiamo nemmeno una pagina sui social media legata al gruppo. Un entusiasmo così genuino per quel progetto è cosa rara. Guardando alle statistiche delle piattaforme di streaming musicale, i Maudlin of the Well sono ancora il mio progetto che riscuote il maggior successo. È pazzesco, ma rappresenta anche un testamento della magia senza tempo di quella musica. Riesce ancora a connettersi con i sognatori e, per fortuna, i sognatori continuano a nascere.

PROPRIO CON ALORA CRUCIBLE E DA SOLISTA HAI TENUTO UN LUNGO TOUR EUROPEO, MENTRE SUL FINIRE DELL’ESTATE SARAI DI NUOVO DALLE NOSTRE PARTI PER SUONARE CON I KAYO DOT. RIGUARDO ALLE DATE DI QUESTA PRIMAVERA, CONCLUSESI CON DUE SHOW AL ROADBURN, COME SONO ANDATE?
– Il tour primaverile è stato stupendo, un’esperienza bellissima e appagante. Siamo stati in giro per due mesi, abbiamo suonato in tante città, percepito una forte connessione emotiva con il pubblico ovunque siamo stati.
Mi sono accorto di quanto sia potenzialmente vasta l’audience per entrambi i progetti, devo cercare di investire maggiormente in quello che serve per raggiungere le persone, far loro conoscere quello che suoniamo.
Per il prossimo tour dei Kayo Dot saremo in cinque o sei sul palco, ci focalizzeremo sul materiale del nuovo album, oltre a qualche ripescaggio dal passato.

COME ARTISTI INDIPENDENTI CHE SUONANO MUSICA NON CONVENZIONALE E SICURAMENTE TUTT’ALTRO CHE COMMERCIALE, QUALI SONO LE PRINCIPALI DIFFICOLTÀ DA AFFRONTARE PER CONTINUARE A SUONARE E SOPRAVVIVERE NEL MERCATO MUSICALE ODIERNO?
– Penso che la maggior parte dei musicisti concorderà sul fatto che la sfida più grande per noi è il doversi sobbarcare una dozzina di ruoli diversi solo per sopravvivere: manager, agente di booking, addetto stampa, designer, contabile, social media manager e così via.
Se ci pensi è terribile, il segnale che il sistema è completamente rotto, non funziona. Nessun musicista pensa che sia bello vivere così, tutti noi dovremmo assumere un atteggiamento più proattivo per cercare di cambiare le cose in meglio.

COLLEGANDOMI ALLE TEMATICHE DEL DISCO, QUALI SONO LE TUE ASPETTATIVE PER IL FUTURO DELLA MUSICA NEI PROSSIMI ANNI E COME PENSI CHE SI COMPORTERANNO ARTISTI E ASCOLTATORI RISPETTO A QUESTO PROGRESSO TECNOLOGICO APPARENTEMENTE COSÌ MINACCIOSO E INVADENTE?
– Penso avremo una divisione: ci sarà tantissima musica generata da intelligenza artificiale, e tanta altra musica creata deliberatamente per contrastarla. Vedremo probabilmente una forte spaccatura da queste due linee di pensiero.
Non penso che un appassionato di musica medio abbia molti strumenti per capire la situazione, la maggior parte delle persone non sa cosa stia accadendo, perché il grosso della battaglia avviene dietro le quinte. Per esempio, in molti non sanno che solo nel 2025 molte playlist editoriali di Spotify – anche in generi di nicchia come ambient e voidgaze – sono dominate da tracce generate dall’intelligenza artificiale.
Gli artisti devono rimanere vigili, prestare grande attenzione a come l’intelligenza artificiale si sta evolvendo e resistere, creando musica che sia veramente originale, non un semplice formulario di soluzioni facilmente replicabili. Una strategia sarebbe quella, semplicemente, di non usare l’intelligenza artificiale e far diventare il suo utilizzo qualcosa di cui vergognarsi. È bello vedere che di questi argomenti se ne parla già apertamente e c’è chi si sta ponendo questi problemi.
Un altro modo di combattere l’ingerenza dell’intelligenza artificiale è di assicurarsi che la propria arte sia così distintiva e non prevedibile da resistere ai pattern di riconoscimento dell’intelligenza artificiale. Eventualmente, come caso estremo, potremmo valutare di rimuovere la nostra arte da internet, integralmente, per impedire che l’intelligenza artificiale si alimenti con essa.