sabato 16 agosto 2025 – Focus

I registi americani sono diventati così bravi nel rappresentare la guerra – talento corroborato dagli effetti digitali – che ogni nuova uscita diventa un’altra occasione per ‘godersi’ morte e distruzione. Con Warfare – tempo di guerra, Alex Garland e Ray Mendoza contrastano questa tendenza, facendosi carico del complesso rapporto tra guerra e cinema e avvicinandosi a una visione accurata, non glamour e non idealizzata, del combattimento. Operazione difficile e controintuitiva, perché la violenza è naturalmente cinematografica. Suoni allora come un elogio che Warfare non è affatto emozionante. È un film crudo e implacabile sulla vita e la morte in battaglia, volutamente mesto e furioso. Un lamento e insieme un monito per riflettere sulla presunta utilità di certe operazioni militari che, come la guerra, causano solo dolore e distruzione.

Questo è il punto centrale di una fiction basata su fatti reali, che segue un plotone di Navy SEAL statunitensi durante una missione disastrosa in Iraq nel 2006. A Ramadi, dentro una notte altrimenti tranquilla, le truppe occupano la casa di una famiglia locale, e giustamente allarmata, mettono sotto sorveglianza gli abitanti e sorvegliano l’edificio di fronte. In tempo reale, i soldati osservano e aspettano, seduti, in piedi, sdraiati, binocolo, radio o fucile alla mano. Scrutano nervosi fuori dalle finestre, in nome di una causa che nessuno spiega mai chiaramente. A un lungo periodo di attesa e tensione seguirà un’improvvisa esplosione di violenza, la guerra ‘per davvero’, co-sceneggiata e co-diretta da Alex Garland e Ray Mendoza, che adatta i suoi ricordi bellici per il film.

Ancora una volta insieme dopo Civil War, la distopia di Garland realizzata dopo l’attacco al Campidoglio e distribuita prima della rielezione di Donald Trump, il tandem culto, nel film Mendoza era consulente militare, tenta l’impresa, una delle scommesse più audaci del cinema in termini di regia, accuratezza narrativa ma anche etica. Perché Warfare è un film di guerra che rifiuta di intrattenere. Un film di guerra che non comincia con un battaglione di soldati ma uno squadrone di donne scultoree che si dimenano in una palestra di aerobica e nel video musicale di Eric Prydz, “Call on Me”. Il suo controcampo è un pubblico di giovani soldati che si affollano intorno a un monitor. Un’esplosione sì, ma di chiassosa follia e di piacere collettivo. Gli uomini ondeggiano insieme, indistinguibili nel coro e nella coreografia ludica, un attimo prima di scivolare nel silenzio di una città senza nome.

Prima di riconoscere i loro volti, alcuni più noti – Will Poulter (Guardiani della Galassia Vol. 3), Noah Centineo (The Fosters) e Charles Melton (May December) – a restare impresso è il “salto al nero”, i movimenti e i gesti coordinati, la destrezza con cui quegli stessi uomini si dispongono in formazione e avanzano nella notte buia. Per portare a termine la missione, Mendoza – sedici anni nei Navy prima di diventare formatore per le giovane reclute – sa meglio di chiunque altro che bisogna poter contare sui buoni soldati.
 

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