C’è una donna incinta per la seconda volta dell’uomo che la picchia: latte in polvere. Un’altra è sotto sfratto, il marito è appena stato licenziato e ha già due figli: integratori, un cuscino per l’allattamento, due passeggini, un marsupio, utenze. Un’altra arriva molto incerta sulla gravidanza in attesa; il bambino nasce cieco, il padre li abbandona, lei è senza reddito: 646 euro per lo psicologo, 3.200 per i beni del piccolo. Babysitter, bollette e affitto dal valore di oltre 4 mila euro per una donna che ha già sei figli, aspetta il settimo, un marito con un lavoro precario. Un solo stipendio, debiti pesanti, dubbi.

Per le vite nascenti

Queste sono solo alcune delle storie condivise da chi ha letto le rendicontazioni delle associazioni Pro Vita, l’elenco delle spese sostenute attraverso il milione di euro finanziato dalla Regione Piemonte con il fondo «Vita Nascente». L’obiettivo di quelle risorse è chiaro: da una parte dare un appoggio alle famiglie in difficoltà; dall’altra sostenere le donne (chiamate tutte “mamma”) con «progetti di aiuto per portare avanti la gravidanza». Insomma, convincerle a non abortire attraverso supporto psicologico e beni materiali «eliminando gli ostacoli economici e sociali».

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Le rendicontazioni

Le rendicontazioni riguardano i 940 mila euro inseriti nel bilancio di previsione del 2023 (più 60 mila per il parto in anonimato), a cui hanno fatto seguito altri due finanziamenti identici da parte dell’assessore alle Politiche sociali Maurizio Marrone. Per quell’anno, ognuna delle 16 associazioni (soprattutto Centri di aiuto alla vita) ha ricevuto 58.750 euro: «Una cifra enorme – sottolinea la capogruppo del M5S, Sarah Disabato – data in gestione a realtà del privato sociale che, di fatto, vengono incaricate dall’assessore di gestire ampie risorse pubbliche sottratte al welfare. Mancette per le associazioni sulla pelle delle donne. Ma con quali criteri vengono erogate in modo forfettario le cifre? Chi effettua i controlli? Dopo il nostro primo esposto manderemo anche questi documenti alla Corte dei conti: questo non è un meccanismo trasparente delle risorse pubbliche, che si appoggia su politiche dichiaratamente antiabortiste».

I parametri

Quello che emergerebbe dalle rendicontazioni, esattamente come un anno fa, sarebbe la mancanza di parametri oggettivi nell’erogazione delle risorse alle singole beneficiarie: perché una giovane donna di ventitré anni ha ricevuto 1.236 euro di tra biscotti, pannolini e piumone, un’altra una lavatrice e due deumidificatori da 853 euro, una coppia con due gemelli 4.000 euro? Del totale delle spese, circa 326 mila euro sono stati utilizzati per il pagamento di canoni di affitto, bollette e mutui, «demandando alle associazioni la scelta sul come gestire le problematiche abitative delle famiglie.

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La polemica

Perché non si fa una misura unica per chi ne ha diritto? Come si concilia questo con tutti gli altri bonus? Servono misure strutturali», continua Disabato. Le altre spese riguardano l’acquisto di alimenti, attrezzature per l’infanzia, incontri educativi, medicinali, una percentuale (concessa dal bando) per rimborsare i volontari, pagare psicologi, fare pubblicità al progetto. Ogni aiuto, per la natura stessa del Fondo, è “one shot”, seppure ci sia per alcuni Cav un tentativo di lavoro con altre realtà per proseguire il percorso.

Le storie

Le beneficiarie, però, vivono oltre il limite della povertà e della precarietà. Sono soprattutto straniere, hanno già molti figli (anche 10), compagni inesistenti o in carcere, storie di lavoro in nero o malattie gravi. E molte di loro sono piene di dubbi su quella gravidanza inattesa