Dopo una prima parte di stagione intensa e ricca di spunti, è tempo di bilanci per la VF Group Bardiani-CSF Faizanè, storica formazione italiana da sempre in prima linea nella valorizzazione dei giovani talenti. Al centro del progetto, come sempre, c’è la visione di Roberto Reverberi, direttore sportivo e anima della squadra, con cui abbiamo fatto il punto sull’annata in corso. Dal Giro d’Italia, dove il team ha saputo distinguersi per determinazione e spirito di sacrificio, all’esplosione di Giulio Pellizzari, vera rivelazione tra i giovani italiani, passando per le prospettive dei talenti emergenti come Filippo Turconi e Matteo Scalco, Reverberi ci ha raccontato senza filtri ambizioni, soddisfazioni e qualche inevitabile rimpianto. Non sono mancate riflessioni sul futuro del ciclismo italiano, sulla missione del team di restare un punto di riferimento per la crescita dei corridori azzurri e sulle sfide economiche che ancora ostacolano il ritorno di una squadra World Tour nel nostro Paese. Spazio infine agli scenari futuri: la Vuelta alle porte, le ambizioni dei giovani italiani e l’inevitabile domanda sul dominatore della stagione, Tadej Pogacar.
Roberto, che bilancio tracci sinora della stagione della VF Group Bardiani-CSF Fainzanè?
“Direi che il bilancio è complessivamente positivo, anche se non nascondo che ci aspettavamo qualcosa in più. Purtroppo alcuni infortuni e problemi fisici ci hanno condizionato in momenti chiave, impedendoci di raccogliere risultati che erano alla nostra portata. Detto questo, stiamo comunque lottando per rimanere tra le prime 30 formazioni nel ranking, e questo dimostra la solidità del nostro progetto nonostante il livello sempre più alto del ciclismo professionistico. Non è facile confrontarsi con squadre che hanno budget molto più consistenti, ma la nostra identità resta forte: crediamo nei giovani e investiamo su di loro con convinzione”.
Tornando al Giro, avete raggiunto gli obiettivi prefissati? E che voto daresti alla vostra corsa?
“Darei sicuramente un voto positivo, direi un buon sette pieno. È stato un Giro d’Italia dignitoso, combattuto, in cui abbiamo cercato di essere presenti in corsa con coraggio. È vero che non avevamo il Pellizzari brillante dello scorso anno, che ci aveva regalato grande visibilità, ma se guardiamo ai piazzamenti e alla costanza delle prestazioni, quest’anno è andata meglio. Abbiamo corso con intelligenza e spirito di sacrificio, consapevoli dei nostri limiti ma anche delle nostre qualità. È stata un’esperienza formativa per tanti ragazzi, che stanno crescendo nel modo giusto”.
Quanto è difficile trovare con costanza corridori come Giulio Pellizzari?
“Tantissimo. Corridori come Giulio non nascono ogni anno: si tratta di atleti con doti fisiche importanti, ma soprattutto con una mentalità fuori dal comune per la loro età. Non è solo questione di trovare il talento, ma anche di saperlo coltivare, accompagnarlo nella crescita, farlo sbagliare quando serve e proteggerlo quando necessario. E poi, quando finalmente un corridore è maturo e pronto per il salto di qualità, spesso viene subito ingaggiato da squadre World Tour. Fa parte del gioco, ma è anche una sfida per noi: il nostro compito è formare questi ragazzi, anche sapendo che li perderemo nel momento in cui sbocceranno definitivamente”.
A proposito di Pellizzari: al Giro ha chiuso al 6° posto dopo aver lavorato due settimane da gregario. Pensi sia la dimostrazione che abbia la stoffa giusta per essere leader nelle corse a tappe?
“Assolutamente sì. Giulio ha dimostrato una tenuta eccezionale, sia fisica che mentale. Aver chiuso al sesto posto in classifica generale dopo due settimane in cui ha lavorato per il suo capitano la dice lunga sul suo potenziale. Ha ancora margini di miglioramento enormi. Oggi, se guardo al panorama italiano, credo sia l’unico corridore con le carte in regola per ambire davvero a un podio in un Grande Giro nei prossimi anni. E questo è un segnale molto importante, non solo per lui, ma per tutto il ciclismo italiano”.
Filippo Turconi è uno dei vostri giovani più interessanti: anche lui ha prospettive per diventare competitivo nei Grandi Giri?
“Filippo ha sicuramente le potenzialità per crescere molto. Oltre al motore, ha una qualità che per me fa davvero la differenza: la testa. È un ragazzo serio, metodico, vive per la bici. Ha completato gli studi e ora si dedica completamente alla carriera ciclistica con una dedizione che raramente ho visto. È uno di quei corridori che non lasciano nulla al caso. Per il futuro ci crediamo molto e, a testimonianza del legame che abbiamo costruito con lui, l’anno prossimo entrerà nella nostra formazione giovanile anche suo fratello Matteo”.
Ti aspettavi di più fin qui da Matteo Scalco?
“No, direi di no. Matteo è un corridore che ha bisogno di più tempo per maturare rispetto ad altri. Non tutti hanno lo stesso percorso di crescita, e noi siamo consapevoli di questo. Anche se non ha avuto un’esplosione immediata come Pellizzari, sta comunque facendo progressi costanti. Sta crescendo in termini di tenuta, di consapevolezza nei propri mezzi e di approccio alle corse. Servirà pazienza, ma sono fiducioso che anche lui potrà togliersi delle soddisfazioni in futuro”.
Quest’anno avete in rosa tre sudamericani. La vostra squadra manterrà comunque sempre la sua missione, che noi di OA Sport applaudiamo a cuore aperto, di valorizzare i giovani italiani?
“Assolutamente sì, e ci tengo a ribadirlo con forza. La nostra identità non cambierà mai: siamo e resteremo una squadra votata alla crescita dei giovani italiani. I corridori sudamericani che abbiamo in squadra sono stati scelti con criterio, in un’ottica di sviluppo, ma il nostro progetto resta saldamente radicato in Italia. Vogliamo continuare a rappresentare una tappa fondamentale per la carriera dei migliori talenti azzurri”.
Davide Cassani ha spiegato che servono 20 milioni per portare una squadra World Tour in Italia. Dobbiamo quindi rassegnarci?
“Purtroppo è una realtà difficile da ignorare. Il problema non è solo economico, anche se il budget ovviamente incide tantissimo: trovare 20 milioni oggi in Italia per sostenere una squadra World Tour è difficile. Ma c’è anche un problema di disponibilità dei corridori: i migliori sono già legati da contratti lunghi con le big del circuito. Si è creato un gap enorme tra le prime tre o quattro squadre e tutte le altre, che spesso finiscono per fare da comparse. Servirebbe un progetto a lungo termine, sostenuto da investitori con una visione chiara, e da un sistema che crede davvero nella rinascita del ciclismo italiano”.
Chi vince secondo te la Vuelta e cosa ti aspetti dagli italiani?
“Penso che il favorito numero uno sia Jonas Vingegaard. È, insieme a Pogacar, una spanna sopra tutti gli altri, per continuità, solidità e capacità di gestire le tre settimane. Detto questo, mi aspetto molto anche dagli italiani. Tiberi, dopo un Giro un po’ sottotono, ha tutte le carte in regola per riscattarsi e puntare a una top5. È maturo e ha già mostrato qualità da grande scalatore. Pellizzari sarà alla sua seconda corsa di tre settimane dell’anno, ma può assolutamente puntare a vincere una tappa; non dimentichiamoci che è al primo anno in una World Tour. Se le dinamiche di squadra lo permetteranno, credo possa fare bene anche in classifica generale. Ha dimostrato di avere fondo e lucidità anche nella terza settimana, e questo è un ottimo segnale”.
Pensi che Pogacar monopolizzerà anche Mondiale e Lombardia, oppure qualcuno potrebbe stupire?
“Pogacar sta vivendo una stagione straordinaria. Si è fermato adesso proprio per ricaricare le batterie e affrontare nel modo migliore il finale di stagione, dove sarà – ancora una volta – il grande protagonista. Ogni volta che corre, lo fa per vincere. È incredibile non solo per la forza fisica, ma per la costanza con cui riesce a essere competitivo tutto l’anno. Non ho mai visto un corridore così completo e continuo. Sulla carta, non ce n’è per nessuno, ma nel ciclismo può sempre succedere qualcosa. Una giornata storta, una tattica sbagliata, una sorpresa. Il bello di questo sport è anche questo”.