Lynette è una donna dalla vita complicata ma carica di determinazione, soprattutto pensando al meglio per il fratello minore, affetto dalla sindrome di Down. La casa dove vivono insieme alla madre Doreen è a rischio di sfratto, a meno che la protagonista non raccolga nell’arco di ventiquattr’ore la cifra di 25.000 dollari in contanti.

Peccato che la problematica genitrice, schiava delle dipendenze, acquisti con quei soldi una macchina nuova, incurante delle conseguenze e dei sacrifici fatti dalla risoluta figlia, che ora si trova a dover racimolare in un arco di tempo brevissimo quella notevole somma. In La notte arriva sempre, titolo quanto mai esplicativo della frenetica odissea urbana che dovrà affrontare con le unghie e con i denti, la combattiva Lynette si troverà a fare i conti con la propria coscienza e deciderà di non farsi scrupoli di sorta, nel tentativo di realizzare quell’obbiettivo apparentemente impossibile ad ogni costo.

La notte arriva sempre: senza rimorsi

Sin dalle prime inquadrature è evidente come il film e la storia ruotino quasi esclusivamente intorno all’interpretazione di Vanessa Kirby. La novella Donna Invisibile – per saperne di più ecco qui la nostra recensione di I fantastici 4 – Gli inizi (2025) – sfodera una performance a dir poco gigantesca, con la macchina da presa che consapevolmente non si allontana mai da lei, rendendola alpha e omega di una narrazione scomoda e, va detto, non sempre omogenea.

Un ruolo totalizzante per un’immersione senza respiro in un dramma contemporaneo, che si vorrebbe far specchio di un’America fuori controllo, con la vita delle periferie e il fenomeno della gentrificazione a testimoniare – come se ce ne fosse ancora bisogno – come il cosiddetto “american dream” sia una realtà per pochi e che è spesso l’incubo a sovrastare i sogni di una vita migliore.

Sempre più a fondo ma con cuore e coraggio

Lynette si consuma in un abisso di fatica e rabbia, dove ogni sforzo viene vanificato da chi le sta intorno. Sfruttata e abusata, decide di prendere finalmente la situazione in mano, senza paura di macchiarsi di crimini o di tradire chi riponeva fiducia in lei: non è una vittima o un’eroina, ma una donna esasperata, spinta da un desiderio di normalità che sembra, ora dopo ora, sempre più irraggiungibile.

Scopriamo nel corso di questa notte che sembra non avere mai fine nuovi dettagli sul suo passato e presente, in una trama che se non giustifica almeno permette allo spettatore di immedesimarsi nelle scelte quasi sempre sbagliate da lei compiute, in un’urgenza di sopravvivenza che non ammette compromessi.

La stessa attrice ha contribuito in prima persona in fase produttiva, trasformandosi spirito e corpo in un personaggio controverso, nato sulle pagine dell’omonimo romanzo di Willy Vlautin.

Non tutto va per il verso giusto

Il problema principale dell’operazione, probabilmente da condividere con l’opera alla base, è che spesso la retorica e il patetismo prendono il sopravvento senza equilibrio, al punto che a tratti sembra che le “sfighe” capitino tutte a lei. Non arriviamo a casi eclatanti come quelli di cui vi abbiamo parlato in occasione della recensione di STRAW – Senza uscita (2025), ma in ogni caso l’impressione è che la storia calchi eccessivamente la mano sul dramma fine a se stesso.

Anche le dinamiche esistenti tra la protagonista e il fratello risultano una sorta di copia sbiadita di quelle viste nel cult dei fratelli Safdie: riscopritelo nella nostra recensione di Good Time (2017). Peccato che qui l’anima di genere non riesca mai a convincere pienamente, seppur la tensione faccia capolino in diverse occasioni, affidata a personaggi scomodi e morbosi come il viscido faccendiere di Eli Roth o la madre menefreghista di Jennifer Jason Leigh.

Un corollario di ombre che aiutano a definire meglio i contorni di un background che sembra non lasciare scampo, come sottolineano già inizialmente i notiziari radio che suggeriscono apocalissi sociali, spesso volutamente minimizzate all’opinione pubblica e all’altro lato dell’Oceano. Proprio per questo motivo la città di Portland non è un semplice sfondo, ma un palcoscenico vivo e pulsante in queste ore notturne dove si deciderà, forse per sempre, il destino di chi è in cerca di una pace da conquistare con una personalissima guerra. Le strade, le luci, l’atmosfera crepuscolare della città sono un’estensione dello stato d’animo di Lynette, un ambiente che comunica e imprime crudezza psicologica senza bisogno di parole.

Un film che convince a metà

Benjamin Caron, regista di vasta e apprezzata esperienza televisiva che aveva già collaborato con la Kirby nella serie televisiva cult The Crown, è al suo secondo lungometraggio dopo Sharper (2023) – qui trovate la nostra recensione di Sharper. Caron dirige con un certo stile, ma cade anch’egli vittima di una sceneggiatura che come detto poco sopra forza spesso la mano.

Si insiste nel trascinare il racconto verso quel pozzo senza fondo, tanto che nemmeno il finale parzialmente risolutore sembra effettivamente in grado di offrire la giusta consolazione a un pubblico che, dopo un trasporto così sofferto nei confronti della malcapitata anti-eroina di La notte arriva sempre, avrebbe meritato probabilmente un epilogo più catartico.

Gli orrori creati dall’uomo moderno restano insidie vive e tangibili, in una realtà dove solo i più forti sopravvivono. Ma a volte può bastare anche ritrovare una rinnovata consapevolezza e comprendere il proprio posto nel mondo, quale ingranaggio di un meccanismo più complesso, per far pace con se stessi e con i propri demoni. E La notte arriva s poteva sottolineare meglio tali dinamiche, sacrificate di sovente all’altare di un’emozione prefabbricata che non appare del tutto sincera.