Quello delle pensioni sarà probabilmente uno dei capitoli più delicati e complessi che il governo sarà chiamato ad affrontare nella prossima manovra. Nel 2027, come previsto dalle regole della legge Fornero, è previsto un nuovo aumento automatico dell’età di pensionamento per adeguarla alla speranza di vita. Lo scalino, calcolato dall’Istat e recepito nelle previsioni della Ragioneria generale del Tesoro, è di tre mesi. Significa che l’età di uscita per vecchiaia dovrebbe passare da 67 anni a 67 anni e 3 mesi, quella anticipata, vale a dire in base agli anni di contributi versati, da 42 anni e 10 mesi a 43 anni e 1 mese per gli uomini e da 41 anni e 10 mesi a 42 anni e un mese per le donne. Ma il governo, per bocca del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, ha già detto che intende fermare questo adeguamento automatico. Rinviarlo di due anni, a seconda delle stime, avrebbe un costo che oscilla tra 300 milioni e un miliardo di euro. Ma il vero problema è un altro, e lo ha evidenziato la stessa Ragioneria generale dello Stato nell’ultimo rapporto sulle “Tendenze di medio e lungo periodo del sistema pensionistico e socio-sanitario” appena pubblicato e aggiornato con i dati fino a giugno di quest’anno.

Eliminare il meccanismo di adeguamento automatico dell’età di pensionamento alla speranza di vita, ha spiegato la Ragioneria, avrebbe un effetto sugli stessi assegni pensionistici che sarebbero più bassi. Di quanto? Se si lasciasse scattare solo un altro scalino, se cioè l’età di pensionamento fosse di 67 anni e 3 mesi, i futuri pensionati avrebbero una pensione più bassa di quasi il 9% (8,9% per l’esattezza), nel caso fossero lavoratori dipendenti, e del 7,9% nel caso si trattasse di lavoratori autonomi. Quali sono le ragioni di questo “taglio”? Per capirlo bisogna comprendere bene quali sono i meccanismi introdotti dalle riforme delle pensioni degli anni scorsi che tengono in piedi il sistema. Sono sostanzialmente due: l’adeguamento dell’età alla speranza di vita, e l’adeguamento dei coefficienti di trasformazione.

I PUNTI

Il primo è quello più noto e dibattuto: la vita media aumenta, e dunque anche quella lavorativa deve crescere. Lo “scatto” avviene ogni due anni: nel 2027 sono previsti 3 mesi in più di lavoro (67 anni e 3 mesi), nel 2029 altri due mesi (67 anni e 5mesi) per arrivare nel 2040 a 68 anni e un mese. Il secondo meccanismo è più tecnico, ma ha un impatto ugualmente rilevante. I “coefficienti di trasformazione” sono quei numeretti che trasformano i contributi accumulati in assegno previdenziale. Anche questi numeretti cambiano ogni due anni e vengono adeguati alla speranza di vita. Il principio è semplice. Se ho accumulato, per esempio, 100 mila euro di contributi, un conto è che mi vengano restituiti sotto forma di pensione per 15 anni, un altro conto che mi vengano restituiti per 20 anni. Il punto qual è? Che i due meccanismi, età di pensionamento e coefficienti, viaggiano di pari passo e hanno effetti contrari. I coefficienti tagliano l’assegno, l’adeguamento dell’età lo fa crescere, facendo sì che i contributi versati aumentino e il periodo di pensionamento si riduca. Fermare solo uno dei due meccanismi, insomma, si traduce in pensioni più basse.

I MECCANISMI

Il punto è che questi due meccanismi sono alla base della sostenibilità del sistema previdenziale italiano. Eliminare l’adeguamento dell’età alla speranza di vita, calcola sempre la Ragioneria generale dello Stato nel suo rapporto, avrebbe un costo da qui al 2045 di 15 punti di Pil, vale a dire 300 miliardi di euro. Ed entro il 2070 questo costo raddoppierebbe. La Ragioneria sembra poco convinta anche della via “spinta” dal sottosegretario al lavoro Claudio Durigon, e in parte già introdotta con l’ultima manovra di bilancio. Vale a dire consentire il pensionamento anticipato a 64 anni di età sommando alla previdenza “pubblica” anche l’assegno della previdenza complementare (per chi ce l’ha). Questo, spiega il rapporto, «comporterebbe il venir meno del contributo integrativo della previdenza complementare» (vale a dire l’assegno integrativo), nonché un «peggioramento della sostenibilità del sistema pensionistico e delle grandezze di finanza pubblica». Insomma, il problema dell’adeguamento dei requisiti di pensionamento potrà essere rinviato al 2029, magari introducendo nuove finestre mobili per sostenere la spesa, ma uscire definitivamente da questo meccanismo automatico non sarà semplice.


© RIPRODUZIONE RISERVATA

Risparmio e investimenti, ogni venerdì
Iscriviti e ricevi le notizie via email