di
Marco Imarisio

La prima richiesta dello zar: riconoscere la realtà sul campo nel Donbass. Ma i nuovi confini non bastano: dalle sanzioni alla religione, dalla lingua alle accuse di crimini di guerra, fino al «regime change» e alla demilitarizzazione del Paese invaso, ecco gli obiettivi

«Non andremo oltre le quattro regioni». Nella scorsa primavera, durante una videoconferenza con il ministero degli Esteri, Vladimir Putin disse che la Russia avrebbe fermato le proprie rivendicazioni ai territori già annessi alla Federazione con il referendum che si tenne nel settembre del 2022. Ma in quella circostanza, aggiunse un altro dettaglio importante. Il presidente sembrò rifiutare con forza l’ipotesi di un «congelamento» del conflitto in Ucraina, una cessazione delle ostilità in stile «coreano», senza alcun riconoscimento delle nuove realtà che intanto si sono create sul campo.

La lista delle pretese

Adesso sappiamo finalmente cosa chiede Mosca per fermare i combattimenti e arrivare alla pace. In estrema sintesi, si tratta del ritiro dell’Ucraina da Lugansk e Donetsk, le due regioni che compongono il Donbass, comprese le aree non ancora occupate dall’Armata russa, con il riconoscimento dei confini lungo l’attuale linea del fronte negli oblast di Zaporizhzhia e Kherson come contropartita. Queste sono pretese facilmente leggibili. La faccenda diventa già più complicata con le richieste non basate su un dato geografico. «Impegno» a non attaccare ulteriori territori ucraini né altri Paesi; riconoscimento del russo come una delle lingue ufficiali in Ucraina; libertà di culto alla Chiesa ortodossa russa, riconoscimento della Crimea, occupata fin dal 2014, e infine cancellazione delle sanzioni imposte da Stati Uniti, Unione europea e altri Paesi. La concessione maggiore che la Russia metterebbe sul tavolo sarebbe una via libera alla richiesta ucraina di avere «garanzie di sicurezza» che riproducono quelle dell’Articolo 5 della Nato, senza però l’ingresso di Kiev nell’Alleanza atlantica. Per scongiurare il pericolo, pare che il Cremlino abbia chiesto che a fornire questo tipo di protezione non siano soltanto Stati Uniti e Paesi europei, ma anche altri Stati, tra i quali la Cina.



















































Proprio perché qualche carta è stata posata sul tavolo, è lecito chiedersi cosa voglia davvero la Russia e quali siano i suoi veri obiettivi. Ce n’è uno che dopo il vertice in Alaska appare ancora più evidente, una specie di elefante nella stanza. Putin vuole tornare ad avere piena agibilità internazionale senza pagare ulteriore dazio per la guerra in Ucraina. In questo senso, potrebbe avere un fondamento l’indiscrezione rilanciata all’unisono dai canali Telegram che trattano sussurri e grida dalle stanze del Cremlino. Il presidente russo avrebbe posto a Trump una nuova condizione per la conclusione di un trattato di pace con Kiev: il ritiro di tutte le accuse alla base dei mandati di arresto della Corte penale internazionale dell’Aia. Secondo queste presunte fonti interne, Putin avrebbe spiegato come questo ostacolo gli impedisca persino di recarsi in alcuni Paesi amici, ad esempio il Sudafrica o il Brasile.

Donbass, sanzioni, lingua russa: cosa vuole veramente Putin per mettere fine alla guerra in Ucraina

Il grande nemico

La vera novità sulle possibili concessioni russe è quella rivelata ieri da Steve Witkoff. Secondo l’emissario di Trump, il Cremlino potrebbe «sancire legislativamente» l’impegno a non aggredire Paesi europei, probabilmente mettendo questa clausola perfino nella Costituzione. Ma appare difficile che la Russia possa accettare una condizione del genere. Putin stesso ha sempre detto che «è un nonsenso». L’ultima volta ne ha parlato al Forum economico di San Pietroburgo: «La leggenda che la Russia si accingerebbe ad attaccare i Paesi della Nato è una bugia inverosimile. Un vero delirio al quale non credono nemmeno quelli che lo dicono».

Ovviamente, Mosca punta al «cambio di regime» a Kiev. È una questione aperta. Durante la conferenza stampa ad Anchorage, dopo aver detto di sperare che l’Ucraina e l’Europa non cercheranno di far saltare i negoziati «con provocazioni e intrighi», Putin ha messo da parte alcuni foglietti. Forse, ha preferito non approfondire. Ma Zelensky è il suo grande nemico, l’uomo che lo ha sfidato apertamente. Difficile che la pratica rimanga inevasa.

Atto di fede

Rispetto al discorso programmatico tenuto il 14 giugno 2024, durante il quale formulò «un’altra proposta di pace concreta e reale», il presidente russo non ha cambiato o concesso molto. La cosiddetta denazificazione rimane un concetto vago e di principio, mentre il tema della demilitarizzazione ritornerà durante i colloqui, con il tentativo di definire quantità e categorie precise di armamenti che Kiev potrà tenere. Nonostante accenni oggi a questa possibilità, il punto sul quale Mosca difficilmente può transigere è la presenza di truppe europee. Perché il grande obiettivo finale rimane quello di una Ucraina «neutrale e fuori dai blocchi», come disse Putin quel 14 giugno. In cambio di tutto questo, c’è la promessa di fare il bravo e di rispettare i nuovi confini. Per crederci, in assenza di un impegno costituzionale, servirebbe molta fiducia. Dopo il 24 febbraio 2022, quasi un atto di fede.

18 agosto 2025 ( modifica il 18 agosto 2025 | 07:45)