di Carmine Landi *
Presi separatamente, sia i Comuni che le Asl hanno mille pecche nella gestione della Sanità. Diciamo che ai loro disservizi possono essere attribuiti molti dei mali che affliggono le nostre popolazioni. Tuttavia, se sindaci e dirigenti sanitari collaborassero, con intenti davvero concentrati sui diritti sociali e collettivi, potrebbero essere centrati molti risultati. Il discorso vale in generale, ma soprattutto per le Case della Comunità, che potrebbero dar vita a momenti di fruttuosa cooperazione tra enti territoriali e organizzazione sanitaria aziendale. In particolare, spetta ai Comuni e alle Aziende sanitarie indirizzare correttamente l’organizzazione e il funzionamento delle Case della Comunità e di accoglienza. Cosa sono queste Case della Comunità? Sono strutture sociosanitarie territoriali previste dal PNRR per fornire assistenza sanitaria e sociosanitaria di prossimità ai cittadini. Sarebbe un modo per evitare il ricorso a ospedali e pronto soccorso, perché dette Case sono state ideate come punti di riferimento per la comunità. In esse, i cittadini dovrebbero poter trovare facile accesso e una sollecita risposta alle loro richieste. Ma vediamo che cosa, in concreto, i Comuni dovrebbero fare per la loro attuazione. Parliamo di attività previste ma che, in genere, non vengono svolte, privando le comunità locali di servizi fondamentali in un settore, quello sanitario, già carente e affollato di problemi, abusi e odiose clientele. Le amministrazioni comunali devono innanzitutto orientare la nascita delle strutture, partecipando alla loro progettazione. In che modo? Provvedendo, in primo luogo, ad una programmazione condivisa dal territorio, attraverso Piani di zona sociosanitari. Questi ultimi sono strumenti chiave di programmazione integrata tra Comune e Asl e in essi si identificano bisogni, priorità, servizi e risorse disponibili. Dovrebbero essere, inoltre, attivati tavoli interistituzionali, sui quali vanno definite le strategie di sviluppo delle Case della Comunità in relazione alle esigenze della popolazione servita. Altro punto nodale che i Comuni dovrebbero affrontare al più presto è l’analisi dei bisogni sociali e sanitari locali. Ma anche su questo vi è una totale latitanza delle pubbliche amministrazioni della provincia di Salerno, e non solo. Tutto ciò che andrebbe fatto, e che non è stato nemmeno ancora ipotizzato, prelude ad un altro punto importante da affrontare: la definizione dei percorsi assistenziali integrati per persone con bisogni complessi. Ovviamente, gli oneri previsti non si fermano qui, perché i Comuni in sinergia con le Aziende sanitarie dovrebbero gestire le strutture di accoglienza e partecipare alla governance territoriale con adeguata ed efficace cabina di regia. In questi contesti, sarà possibile orientare l’offerta dei servizi delle Case della Comunità. Su tutto, però, sarà necessario sensibilizzare e coinvolgere le cittadinanze, affinché esse possano entrare in un percorso generativo delle nuove realtà, inserendo in esse esigenze e priorità dei singoli territori. Ad esempio, una Asl, su segnalazione di un Comune, può integrare le offerte delle Case della Comunità prevedendo, in base alle esigenze, un punto di ascolto per donne vittime di violenza o un centro diurno per anziani o ancora altre realtà in grado di alleviare o integrare la vita di molte fasce sociali, in particolare anziani, disabili, persone sole, con scarso reddito o indigenti. I sindaci devono, cioè, rendersi conto che non possono più attendere che queste conquiste cadano dall’alto. Al contrario, esse vanno costruite con cura, imprimendo le giuste direttrici e agendo nell’esclusivo interesse delle popolazioni, che sono stanche di attendere e di essere private di diritti fondamentali previsti dalla legge. *medico cardiologo ,