“Cessioni” di territori, nodi geopolitici, rapporti personali tra capi di Stato. Questi sono solo alcuni degli elementi che compongono la difficile trattativa in corso, raccontata, con dovizia di particolari, dai mass media vicini al Cremlino. Ma ve ne sono altri – meno noti e su cui vige un voluto silenzio -, che non potranno essere sottovalutati a Mosca al momento di prendere una decisione finale, a causa della loro rilevanza e del loro peso. Numerosi gruppi di influenza all’interno delle cosiddette “stanze dei bottoni”, ampie fasce di imprenditori e le élite russe in generale spingono oggi per una rapida conclusione del conflitto ucraino. Le ragioni di tale posizione sono le più diverse: da una parte c’è una stanchezza sempre più manifesta per 3 anni e mezzo di interminabili ostilità, dall’altra spinose questioni economico-finanziarie stanno prendendo il sopravvento. Ma andiamo con ordine. Stando alle solite voci incontrollabili che attraversano Mosca, persino all’interno della cerchia dei “fedelissimi” del presidente, al Cremlino, ci sono malumori.

I LEGAMI Il vice capo dell’Amministrazione Dmitrij Kozak, già responsabile per i rapporti con l’Ucraina, ha perso quasi tutti i suoi incarichi (passati al “falco” Serghej Kirienko), dopo aver chiesto a Putin di terminare l'”Operazione militare speciale” (Svo) e di iniziare riforme come quella di porre i Servizi segreti sotto il controllo del governo e di creare un sistema giuridico indipendente. L’essere un amico “pietroburghese” di vecchia data gli ha garantito di non venire completamente estromesso e Putin avrebbe ancora contatti con lui. Non tutti, però, possono vantare certi legami di amicizia ed esporsi così tanto. Sempre le solite “gole profonde” hanno riportato che, a lungo, nessuno ha avuto il coraggio di suggerire a Putin – convinto di poter vincere militarmente il conflitto con Zelensky in pochi mesi – di valutare meglio la strada diplomatica. In giugno, a San Pietroburgo gli imprenditori hanno aggirato l’ostacolo, tracciando al capo del Cremlino un quadro estremamente fosco della situazione economica. Fino ad allora il Pil era sì cresciuto grazie al settore militare e alle commesse della Difesa, ma quello privato era in forte sofferenza con fallimenti di compagnie a catena. Alla fine di luglio, leggendo i report delle Ferrovie federali, si è compreso che la Russia si sta addirittura fermando. Nei primi sette mesi del 2025: -7,3% di traffico merci totale. In particolare: materiali da costruzione e per l’industria -19%; grano -35%. Le imprese estrattive, automobilistiche ed edili hanno imposto al personale ferie obbligatorie o turni ridotti di lavoro per evitare i licenziamenti. Ma a settembre i nodi verranno immancabilmente al pettine e metà delle aziende russe, stando a fonti della Confindustria federale, hanno intenzione di ridurre il personale. LA CRISI

Una delle cause scatenanti di questa crisi è il tasso d’interesse, tenuto dalla Banca centrale per mesi all’astronomico 21% (oggi è al 18%), per combattere l’inflazione, appesantita dalle esponenziali spese militari e dalle dure sanzioni internazionali. Il costo della vita, in implacabile salita, sta di fatto cancellando decenni di progressi sociali ed economici. E poi c’è il vertiginoso buco nel bilancio di quest’anno, nei primi mesi già quasi 50 miliardi di euro. Se va avanti così, c’è il rischio che a dicembre siano ben 100.

Le élite, nostalgiche dei tempi tranquilli in cui si godevano le ricchezze in Occidente, sono anche impaurite dalla caccia alle streghe scatenata dal potere contro la corruzione. Non passa settimana che non venga arrestato o condannato qualche “alto papavero” per appropriazione indebita nel più completo clamore mediatico. Addirittura, in luglio, sulla stampa non allineata sono comparsi articoli in cui si descriveva il terrore in alcuni noti imprenditori e funzionari di Stato dopo il suicidio del ministro degli Trasporti, licenziato poche ore prima dal Cremlino. Roman Starovoit stava per essere arrestato per reati di corruzione. Qualcuno è arrivato a ipotizzare pubblicamente che la partecipazione di alcuni ministri al funerale dell’ex collega fosse un chiaro segnale al Cremlino. In quella occasione nessuno rilasciò dichiarazioni. O meglio, tutti avevano le bocche ben cucite. La tensione alle stelle troppo a lungo è una cattiva compagna di vita. È venuto il momento, questo il messaggio, di prenderne atto nelle stanze del potere.

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