di
Lorenzo Cremonesi

«Abbiamo bisogno di tutto dall’America». Raid russi: bimbi uccisi dai missili a Kharkiv

KIEV – Gli ucraini tirano un sospiro di sollievo: il Zelensky diplomatico in giacca borghese ieri ha dominato quello in divisa, che il 28 febbraio scorso si era scontrato frontalmente con Trump e Vance. «Bene, perché abbiamo ancora bisogno delle armi americane, non possiamo più rischiare il blocco degli aiuti Usa come in marzo», dicono a Kiev analizzando la conferenza stampa tra i due presidenti e poi quella finale assieme ai leader europei.

Ma, diplomazia a parte, la strada resta tutta in salita. «Cosa dirà domani Trump a Putin? Tornerà a sposare la posizione russa, o resterà vicino alle ragioni ucraine?», si chiedono a caldo i commentatori. Intanto la guerra continua: i bombardamenti russi non si fermano. Una quindicina di civili, tra loro due bambini di Kharkiv, sono morti sotto le bombe tra l’altra notte e la mattinata di ieri. Attacchi anche a Zaporizhzhia, Sumy e nell’Est. E le sirene sono tornate a suonare in serata in quasi tutti i centri urbani; i soldati nelle trincee del Donbass sono di guardia per fermare i continui tentativi di sfondamento.



















































Zelensky da tempo ha imparato la lezione: è Kiev che ha bisogno di Washington e non viceversa. Dopo febbraio, sono seguiti i negoziati in Arabia Saudita tra marzo e aprile, dove gli ucraini sono stati flessibili per dimostrare a Trump che le colpe della guerra sono soltanto russe. Quindi è arrivata la stretta di mano nella basilica di San Pietro durante i funerali di papa Francesco. Ieri i due hanno anche un poco scherzato sulle mappe delle zone occupate dai russi esposte nello Studio Ovale e sulla questione delle elezioni in Ucraina, che comunque sottolinea Zelensky non potranno tenersi sino a che non cesserà la guerra.

Temi potenzialmente divisivi: Zelensky ancora ieri mattina si era detto contrario a qualsiasi ritiro delle truppe e in passato Trump era sembrato sposare la tesi di Putin circa la necessità di nuove elezioni. Ma ieri il presidente ucraino ha dribblato i problemi e si è prodigato nel ringraziare Trump per gli sforzi da mediatore. «Abbiamo discusso molti dettagli dei campi di battaglia. Grazie presidente, sono ottime mappe», ha esclamato, quasi un ricordo del suo passato da comico.

Ma nessuno si nasconde che la parte più difficile deve ancora venire. Nulla prova che Putin abbia rinunciato al progetto di fare dell’Ucraina uno Stato vassallo di Mosca al pari della Bielorussia. E le garanzie di sicurezza per l’Ucraina restano largamente da definire. Lo stesso Zelensky, ribadendo i ringraziamenti a Trump per la sua promessa di partecipare alle garanzie di sicurezza e accennando all’eventualità di un prossimo «summit trilaterale o quadrilaterale con Putin», ha detto che in termini di aiuti militari Usa il suo Paese ha «ancora bisogno di tutto». Ci saranno truppe americane ed europee nell’Ucraina del futuro? E Putin sarà disposto ad accettarlo?

Negli ambienti diplomatici europei a Kiev si sottolinea che i Paesi Ue hanno collettivamente superato le forniture militari da Washington. E tuttavia il ruolo delle armi di difesa aerea made in Usa resta insostituibile, come la collaborazione dell’intelligence fornita dal Pentagono. «Possiamo avere il meglio dei missili e dei droni, ma se non conosciamo le coordinate degli obiettivi non servono a nulla», ci dicono allo Stato maggiore ucraino. Già prima di mezzanotte i social locali tornavano a criticare l’ipotesi dell’abbandono militare del Donbass: Putin ottiene con la diplomazia ciò che non è riuscito a prendersi con le armi e si trova nella posizione migliore per riprendere la guerra a piacimento nel futuro.

19 agosto 2025