La casa di Luca Bombassei a Milano è un manifesto di ribellione creativa.
Le rivoluzioni migliori avvengono in silenzio. Forse perché sono le più intime e le più durature. Forse perché i luoghi cambiano, ma la vocazione originale resta. Il condominio dove oggi vive Luca Bombassei era nel XVI secolo un monastero di frati cappuccini, come ricorda la toponomastica di una delle vie del “quadrilatero del silenzio”, alle spalle di corso Venezia. Nel 1958 l’euforia del boom riscrive il tessuto della città, il convento viene abbattuto e al suo posto sorge un condominio di dieci piani, e per ognuno un artista, da Lucio Fontana ad Alberto Burri, inventa un segno. Contemporaneamente, nell’appartamento di Luca interviene Piero Fornasetti, che nel salone riveste i due pilastri di cemento di una lamiera su cui incide una decorazione a fiori, memoria dei suoi celebri piatti.
Su un tappeto cinese Art Déco due poltrone Hyaline di Fabio Lenci anni ’70 (Comfort) e tavolino Catlin (Minotti). Alla parete tessuto Dedar. Sul tavolino, tra i divani, neon rosso di Jochen Holz. A destra, sul tavolo lampada Biagio in marmo (Flos).Foto Andrea Ferrari
La casa di Luca Bombassei, spazi dilatati e moltiplicati
Quando l’architetto, designer e collezionista d’arte entra tra quelle mura, cambia tutto, abbatte pareti e trasforma la classica planimetria borghese – sala, corridoio, camere – in uno spazio unico, fluido, che si moltiplica e si confonde in un gioco di superfici lucide, pavimenti in marmo e specchi, anche sul soffitto. Nella riscrittura profonda restano solo due presenze “antiche”, le colonne, riportate al colore originale, e l’immensa vetrata in metallo, con le sue aperture a baionetta, anche questa scartavetrata per ritrovare l’eleganza dell’epoca, spifferi compresi. E allora in questo frastuono di macerie il silenzio “monastico” dov’è? Il silenzio, che benedice la rivoluzione, è altrove. È la luce e il senso del tempo, luce e tempo delle stagioni e della contemporaneità, che questo spazio trattiene e protegge.
«Ho accolto la lezione di Caccia Dominioni, l’arte di dilatare gli spazi, e Dordoni, amico carissimo, che mi ha insegnato a moltiplicarli».
Luca Bombassei
La grande vetrata con aperture a bilico è originale del 1958. Appoggiati sul tavolo in marmo nero, due acquerelli, accanto a un acrilico di Jonathan Monk, Learn to See What Others See Before Others See What You See.Foto Andrea Ferrari
Un luogo che racconta la sua storia
Della rivolta contro una vita decisa da altri Luca Bombassei ha fatto il suo credo fin da ragazzo. La sua è una famiglia di inventori e imprenditori, freni Brembo, Bergamo, e ovviamente il figlio deve seguire le orme del padre. Meglio quindi il liceo classico dell’artistico, meglio studi di economia e perché non un viaggio di qualche mese negli Stati Uniti, Filadelfia, Penn University, e poi, ed è già un fuori programma, Los Angeles e le sue luci accecanti? In quella lontananza si fa strada una nuova consapevolezza di sé. Ci sarà da combattere? E via, dopo due anni di economia e commercio, segretamente Luca s’iscrive ad architettura, qualche discussione, ma non si torna indietro. L’Erasmus è in Danimarca, un’altra luce da accogliere, quindi Parigi, nello studio di Jean Nouvel per seguire il progetto del Kilometro Rosso, spettacolare affaccio della sede di Brembo e di un centro di ricerca e sviluppo, poi si torna a Milano, studio nel palazzo Berri Meregalli e una casa non lontano da lì e, ancora, un cambio di indirizzo, stesso quartiere, ed è il grande living dove in questo momento i rami degli alberi di un giardino segreto creano una straordinaria parete di verde, che respira, oscilla, ipnotizza.