Celle strapiene, agenti di polizia penitenziaria a numero ridotto, medici e psichiatri che si contano sulle dita di una mano. In più il caldo estremo che in questi giorni ha reso le sbarre roventi. Le carceri in tutta Italia sono una polveriera e Roma, con Regina Coeli e Rebibbia, non fa eccezione. Sono sempre di più, infatti, le testimonianze e le rivolte che vanno in scena nei due più importanti penitenziari della Capitale.
La rivolta
L’ultimo episodio eclatante è stato quello avvenuto la scorsa settimana a Regina Coeli quando nella notte tra sabato 16 e domenica 17 agosto, alcuni detenuti hanno lanciato contro i pochissimi operatori di polizia penitenziaria in servizio bombolette da campeggio e appiccato incendi. Una rivolta vera e propria che è scoppiata a causa della mancanza di personale medico. Già, a denunciarlo è stata la mamma di un detenuto. La donna, che resterà anonima, a RomaToday ha raccontato l’antefatto che poi ha portato alla sommossa, poi sedata.
Un giovane di 20 anni ha avuto un grave episodio epilettico e, per circa 40 minuti, nessun medico è intervenuto in suo soccorso, nonostante le grida disperate dei sei compagni di cella. In segno di protesta e solidarietà estrema, gli altri detenuti hanno dato vita a una violenta rivolta, facendo esplodere bombolette di gas e incendiando materassi. Si è trattato di un gesto di ribellione contro la mancata assistenza sanitaria a un detenuto in difficoltà. Sul posto è intervenuto il comandante facente funzioni del nucleo investigativo della polizia penitenziaria che, insieme a personale richiamato appositamente in servizio per gestire l’emergenza, è riuscito a ripristinare l’ordine e la sicurezza.
Condizioni estreme a Regina Coeli
Secondo Gennarino De Fazio, segretario generale della Uilpa polizia penitenziaria, a Regina Coeli “sono ammassati 1.116 detenuti a fronte di soli 572 posti disponibili con un sovraffollamento che sfiora il 200%, mentre gli agenti assegnati sono solo 350, quando ne sarebbero necessari almeno il doppio. Basti pensare che stanotte vi era in servizio complessivamente una decina di agenti, i quali sono sottoposti a vero e proprio caporalato di stato con trattenimenti al lavoro anche per 26 ore ininterrotte”.
E c’è di più, nel carcere di Regina Coeli, secondo quando sottolineano i sindacalisti della Fns Cisl Lazio, “deve farsi carico di 5 piantonamenti ospedalieri e di circa 10 sorveglianza a vista, dove la popolazione detenuta è di 1.116 rispetto ai previsti 628, dato del ministero della Giustizia al 17 agosto 2025. Va rivisto il servizio sanitario penitenziario negli istituti perché la sorveglianza a vista per un detenuto qualsiasi e con problemi psichiatrici non compete al personale della sicurezza ma a organi sanitari, manca una vigilanza medica psichiatrica h24 negli istituti, di notte non è presente”.
Le promesse politiche
Numeri impietosi. Un’emergenza certificata dal monitoraggio effettuato, nel corso del 2024, dalla Garante dei diritti delle persone private della libertà personale di Roma Capitale, Valentina Calderone. La relazione presentata lo scorso luglio ha denunciato una serie di criticità e proprio a Regina Coeli c’è la situazione più critica. Di recente la Regione Lazio, invece, ha approvato un documento relativo alla riorganizzazione dei servizi sanitari in ambito penitenziario, con l’obiettivo di potenziare il supporto alle singole Asl, sul cui territorio sia presente uno o più istituti di detenzione.
L’obiettivo della Pisana sarà quello di istituire una casa della salute nell’area penale di Rebibbia, avviare dell’Atsm femminile (Articolazione per la Tutela della Salute Mentale), potenziare le figure specialistiche (cardiologi, oculisti, ginecologi, neurologi, dermatologi, infettivologi, psicologi e psichiatri) e incrementare il personale infermieristico e di supporto.
Eppure, nonostante gli annunci, la situazione resta al limite. Complice soprattutto il sovraffollamento nelle carceri che nel Lazio sfiora il 145%, ben oltre la media nazionale del 132%, con punte impressionanti a Regina Coeli al 185%, Civitavecchia al 178%, Rieti al 174% e Latina al 171%.
“Il Governo resti coerente e sia promotore di misure deflattive immediate come i percorsi alternativi alla detenzione e l’uso pieno dell’amnistia e dell’indulto. Le carceri non sono solo infrastrutture: sono lo specchio della nostra civiltà. E finché rimarranno luoghi di sofferenza anziché di recupero, la nostra democrazia resterà non pienamente compiuta”, ha ammonito Emanuela Droghei, consigliera regionale del Partito Democratico.
La situazione a Rebibbia
Situazioni a limite che, come detto, a Roma non si vivono solamente nel carcere di Regina Coeli, ma anche a Rebibbia. Nella mattinata di oggi, nel reparto G11, un assistente capo coordinatore dell’istituto di pena è stato aggredito, colpito al volto e portato al pronto soccorso.
Attualmente nel nuovo complesso Rebibbia mancano 129 di unità di polizia penitenziaria e il sovraffollamento del carcere è di più 399 detenuti (previsti 1171 presenti 1570). Una situazione che “riflette i problemi sistemici più ampi all’interno del sistema penitenziario italiano, tra cui sovraffollamento, mancanza di personale e infrastrutture inadeguate”, sottolinea la Fns Cisl Lazio.
Le memorie di Gianni Alemanno
Di recente a denunciare le condizioni di quel carcere sono arrivate anche le parole scritte da Gianni Alemanno e Fabio Falbo, lo “scrivano” del braccio G8. L’ex sindaco di Roma si trova in carcere dallo scorso 31 dicembre per aver trasgredito alla pena alternativa che gli era stata accordata. La carcerazione è diventata così l’occasione per raccontare, come si fa nei capitoli di un diario, le condizioni in cui viene vissuta la prigionia da parte dei vari detenuti. Parole dure in cui vengono elencate le condizioni di detenuti malati e anziani. Sfoghi a cui poi sono seguite le visite del ministro dei trasporti, Matteo Salvini, e del presidente della Regione, Francesco Rocca.