di
Chiara Daina

I Trattamenti sanitari obbligatori in Italia sono molti di più rispetto a quelli registrati al Ministero spesso a causa di una falla nei sistemi di comunicazione. Il professore Miravalle: «I comuni dovrebbero dotarsi di un Osservatorio»

C’è un paradosso che riguarda il trattamento sanitario obbligatorio (Tso) e rischia di essere un boomerang per la comunità: «Sui ricoveri forzati delle persone con alterazioni psichiche che rifiutano le cure, benché incidano sulla privazione della libertà individuale che è tra i diritti inviolabili dell’uomo, oggi sappiamo pochissimo: quanti sono, quanto durano, perché si fanno e quali categorie sociali coinvolgono». La denuncia è di Michele Miravalle, professore di Sociologia del diritto all’Università di Torino e coordinatore del primo Osservatorio sui Tso in Italia, quello del capoluogo piemontese, nato nel 2024 da una convenzione tra Comune, ateneo, Asl e garante dei detenuti, per assicurare un monitoraggio del fenomeno, studiarne l’impatto e migliorare le risposte ai bisogni. Ci sarebbe infatti un ampio sommerso che non sprona i manager pubblici ad aumentare gli sforzi per offrire alternative efficaci e ridurre il ricorso ai Tso, come invece raccomandato dalla legge Basaglia. 

La Società italiana di epidemiologia psichiatrica (Siep) anticipa i risultati di un’indagine condotta nel 2023 in 18 Dipartimenti di salute mentale italiani: «Il tasso medio di ricoveri per Tso – dichiara il presidente, lo psichiatra Fabrizio Starace – è 2,2 ogni 10 mila abitanti nel 2022 e 2,3 nel 2023. È il doppio di quello ufficiale, pari a uno su 10mila, rilevato dal sistema informativo del ministero della Salute». Anche i dati raccolti dall’Osservatorio della città di Torino contraddicono le stime istituzionali: 1.666 Tso effettuati tra il 2017 e il 2024 sul territorio comunale, in media circa 200 l’anno, contro i 371 riportati per tutto il Piemonte nel 2023 nell’ultimo Rapporto sulla salute mentale del ministero. 



















































Perché questo scarto? «La fonte di Istat e ministero sono le schede di dimissione ospedaliera, in cui però non si tiene conto dei tanti casi di chi viene ricoverato tramite Tso e, dopo alcuni giorni, accetta le cure trasformando il trattamento da obbligatorio a volontario. Di questo passaggio – spiega Miravalle – nelle schede non resta traccia. Secondo i fascicoli dei Tso prodotti dal Comune 8 pazienti su 10 sottoposti inizialmente a trattamento obbligatorio hanno poi aderito volontariamente alle terapie». Starace, che dirige il dipartimento di salute mentale dell’Asl To5, segnala altre due condizioni che sfuggono ai controlli: «Quando la persona è ricoverata d’urgenza in stato di necessità, ma l’ordinanza di Tso del sindaco arriva dopo e la scheda ospedaliera, già compilata, non viene aggiornata con l’informazione. E poi quando il paziente, entrato volontariamente in ospedale, successivamente si oppone agli interventi sanitari e l’unico modo che il personale ha di praticare le cure è il Tso».

La mancanza di resoconti puntuali preoccupa gli esperti. «Il Tso non è solo una procedura medico-sanitaria ma anche di politica pubblica – sottolinea Miravalle – che limita l’autodeterminazione del singolo. Per questo i Comuni più grandi dovrebbero dotarsi di un osservatorio. Avere la giusta contezza di numero e durata dei trattamenti e profilo anagrafico dell’utenza permette di individuare i quartieri più fragili, capire quanto il disagio mentale sia legato a quello economico, potenziare le reti di sostegno e correggere gli approcci verso la persona che ripete più Tso». 

La Siep ha riscontrato un altro aspetto su cui interrogarsi: «In un Tso su 5 si verifica almeno un episodio di contenzione meccanica, misura eccezionale che rischia di normalizzarsi», avverte Starace. Un problema culturale, osserva lo psichiatra: «Secondo un sondaggio tra 1.018 operatori sanitari la scelta di tale pratica sembra influenzata non dal contesto ma dall’atteggiamento del personale: se ritiene la contenzione uno strumento terapeutico, non offensivo dei diritti della persona, allora è più probabile che la utilizzi». 

La sentenza

Con una recente sentenza, la 76 del 2025, la Corte costituzionale ha stabilito che d’ora in poi il provvedimento di Tso emesso dal sindaco sarà notificato al diretto interessato e lo stesso sarà sentito dal giudice tutelare prima della convalida, per verificare lo stato in cui versa e garantire il rispetto del divieto di violenza fisica e morale. «Un giudice, lì per tutelare i suoi diritti, è figura diversa dal medico, visto come colui che costringe alla puntura. Ciò può infondere sicurezza alla persona e restituirle la dignità che sente di aver perso», commenta Starace. Ma sia lui sia Miravalle sono critici rispetto a quanto sta accadendo dopo il verdetto della Corte: «I tribunali fanno le audizioni da remoto, in videocall, e spesso dall’altra parte del cellulare, prestato dall’infermiere, c’è un paziente che dorme sedato. Che senso ha?». Il professore di Torino teme che non cambi nulla «se l’audizione viene interpretata dal giudice come l’ennesima incombenza e non un elemento di garanzia per il malato».

19 agosto 2025 ( modifica il 19 agosto 2025 | 18:26)