Se chiedete a un’intelligenza artificiale come si costruisce un’icona, ci sono ottime probabilità che la sua risposta vi faccia pensare a Kate Moss. Il primo ingrediente è un talento rarissimo e unico nel suo genere, innegabile e riconoscibile all’istante. Nel caso di Moss non si tratta delle sue capacità come modella che, se oggi sono leggendarie, all’inizio furono accolte con grande scetticismo. Si narra che sia stata scoperta nel 1988 da Sarah Doukas, fondatrice di Storm Model Management, all’aeroporto JFK: lei aveva quattordici anni e stava tornando a Londra dopo una vacanza con la famiglia. A colpire Doukas fu il suo aspetto insolito, la fisicità esile, androgina e del tutto diversa da quella delle supermodelle che dominavano le passerelle alla fine degli Anni 80. Alta appena un metro e settanta, con gambe asciutte e leggermente arcuate, e dotata di una bellezza un po’ aliena e inquietante, Moss non rispecchiava per niente i gusti del periodo. Pare che un insider dell’ambiente, ancora oggi ignoto, l’abbia definita “una ragazzina cockney con i denti e le gambe storti”. Una descrizione ormai entrata nella leggenda di Kate Moss. I lineamenti selvatici e particolari si sarebbero rivelati una forza capace di influenzare l’intero ambiente, che si sarebbe allontanato dalla bellezza tradizionale e prorompente per avvicinarsi a un ideale più sfuggente e meno convenzionale. Ma il suo vero superpotere è il carisma, quell’aura indefinibile che irradia ancora oggi, più di trent’anni dopo aver lasciato Croydon per approdare al centro di Londra. Una caratteristica che tutte le persone che hanno lavorato con lei – da Mario Sorrenti a Marc Jacobs e Alexander McQueen – hanno notato subito e di cui hanno parlato a fondo, come se volessero rivivere per sempre la magia di quel primo incontro. “L’ho capito appena l’ho vista”, ha dichiarato John Galliano, lo stilista per cui Moss ha esordito in passerella nel 1989. “Non era una semplice modella, ma un personaggio, una presenza. Non era una cosa che si poteva imparare né fingere”.

Ci dà qualcosa di cui sentiamo il bisogno, una sensazione intensa di malizia e divertimento, il permesso di vivere con maggiore libertà, con un pizzico di sana temerarietà in più

bazaar icons: kate mossDavid Sims

Giacca di jeans, POLO RALPH LAUREN; 505, LEVI’S; Cintura ISABEL MARANT; Orecchini e bracciali in oro e diamanti, BULGARI

Il secondo ingrediente è un tempismo più che perfetto. Il talento unico di cui si dispone, qualunque esso sia, deve soddisfare un bisogno collettivo ancora inespresso ed emergere nell’istante in cui la società comincia a cercare una nuova ossessione in grado di definirla. Quando Moss è comparsa sulla scena, gli Anni 80 stavano finendo e tutto ciò che aveva caratterizzato il “decennio degli eccessi” sembrava arrivato al capolinea. I power suit, i capelli cotonati e i soldi erano passati di moda e avevano lasciato il posto a una trasandatezza elegante, incarnata dalla semplicità degli slip dress d’ispirazione vintage, dalla bellezza disinvolta della pelle pulita accompagnata dai capelli sporchi e, ovviamente, dal grunge e dalla cultura alternativa che si stava sviluppando attorno a quel genere musicale. Il successo di Moss esplose nel 1990, quando Corinne Day la immortalò in uno shooting per The Face: foto intime e dirette che la mostravano immersa in un’atmosfera essenziale e vulnerabile, con abiti semplici e pochissimo trucco. Qualche anno dopo Moss iniziò a uscire con Johnny Depp, all’epoca reduce da Cry Baby e co-proprietario del Viper Room. Con le giacche da biker coordinate e i capelli spettinati, erano la coppia simbolo della Gen X, uno più bello dell’altra a seconda della luce. Nell’autunno del 1992 Moss partecipò alla leggendaria sfilata “grunge” di Marc Jacobs per Perry Ellis, diventando l’icona di un nuovo concetto di coolness, definito non solo dagli abiti ma anche da un atteggiamento particolare. “Era una creatura magica”, ha detto Jacobs. “Entrava in una stanza ed era… cool. Non cercava di esserlo, lo era e basta. E non dipendeva tanto da cosa aveva addosso, ma dal suo modo di fare, dalla sua aria misteriosa”.

bazaar icons: kate mossDavid Sims

Giacca di jeans, POLO RALPH LAUREN; 505, LEVI’S; Orecchini e bracciali in oro e diamanti, BULGARI

Che si tratti degli scatti di Corinne Day all’inizio della sua carriera (molti dei quali oggi fanno parte della collezione del Victoria and Albert Museum e della National Portrait Gallery) o delle foto dei paparazzi che la seguono da decenni, quando Moss è davanti all’obiettivo il risultato è invariabilmente affascinante. Ci dà qualcosa di cui sentiamo il bisogno, una sensazione intensa di malizia e divertimento, il permesso di vivere con maggiore libertà, con un pizzico di sana temerarietà in più. E anche i vestiti, naturalmente, fanno la loro parte: con i jeans skinny e le ballerine dei primi anni, con il look iconico sfoggiato a Glastonbury (stivali da pioggia e shorts cortissimi) e con l’abito da sposa e il velo (ovviamente di Galliano), color panna e di una semplicità stupefacente, indossati nel 2011 per il matrimonio con Jamie Hince dei The Kills, Moss ha insegnato a intere generazioni come costruire la propria identità sfruttando il linguaggio della moda.

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Giacca di jeans, POLO RALPH LAUREN; 505, LEVI’S; Orecchini e bracciali in oro e diamanti, BULGARI

L’ultimo ingrediente di tutte le grandi icone è una consapevolezza innata del loro superpotere, cioè il silenzio: sanno tenere la bocca chiusa, perché sanno che è il loro lavoro a parlare. Per quanto sembri ironico, sanno che, per condurre una vita davvero sfrenata, serve disciplina. E Kate Moss ha sempre avuto questo tipo di contegno. Nonostante gli innumerevoli alti e bassi avvenuti sotto gli occhi dei riflettori (tra cui il famigerato periodo con Pete Doherty, quando il Daily Mirror pubblicò alcune foto in cui faceva uso di droghe), è sempre rimasta fedele al mantra: “Mai lamentarsi, mai dare spiegazioni”. Questa ragazza ribelle indiscutibilmente moderna ha un rapporto d’altri tempi con il successo. Come una diva del cinema muto o una scrittrice isolata dal mondo, non parla quasi mai della sua vita, per quanto possa essere interessante e a tratti eccessiva. Perché è occupata a viverla.

bazaar icons: kate mossDavid Sims

Giacca, POLO RALPH LAUREN; T-shirt, PETIT BATEAU; Orecchini in oro e diamanti, BULGARI

È questo aspetto a renderla una vera rockstar, oltre che una gigante della moda. I musicisti sono in cima alla piramide delle celebrità, e ho visto con i miei occhi attrici famosissime perdere la testa per i bassisti di band semisconosciute. È un fenomeno sociologico molto affascinante, ma Moss è sempre stata l’eccezione alla regola. Non ha bisogno di venerare le rockstar perché lei stessa appartiene alla categoria. Ha lavorato a stretto contatto con i Primal Scream, partecipando al video di Some Velvet Morning (2003), in cui duetta (dimostrando un talento inaspettato) con Bobby Gillespie. Come musa e partner creativa, ha giocato un ruolo in tutti i principali fenomeni musicali inglesi dal Britpop in poi.

La caratteristica indefinibile che l’ha resa un’icona tanto duratura emerge soprattutto in un video, I Just Don’t Know What to Do with Myself dei White Stripes, girato nel 2003 da Sofia Coppola, in cui la band non compare nemmeno per un secondo. Il pezzo è una ballata ruvida e ritmata, con chitarre strazianti, la batteria ipnotica di Meg White e la voce angosciata di Jack White. Ma nel video vediamo soltanto una Moss in bianco e nero che, osservata dall’occhio di Coppola, si esibisce in un numero di pole dance davanti a un pubblico inesistente. Due minuti e quarantaquattro secondi che racchiudono tutto il suo carisma. È ovviamente bellissima quando la scorgiamo dietro la cascata di folti capelli biondi. Ed è ovviamente sexy con i tacchi vertiginosi da pole dance e il succinto intimo nero. Ma l’impressione dominante è di essere stati invitati ad assistere a un’esperienza privata e allegra, maliziosa e insieme innocente. Rapiti e incantati, non le stacchiamo gli occhi di dosso, eppure abbiamo la sensazione di non vederla davvero. Moss continua a muoversi, il suo viso cattura la luce per un istante e torna a tuffarsi nell’ombra quando getta la testa all’indietro e volteggia in aria, seguendo il ritmo nell’inquadratura successiva. Alla fine, sembra che stia ballando per un pubblico composto da una sola persona. Alla fine, sembra che stia ballando soltanto per sé stessa.

Traduzione di Aurelia Di Meo

bazaar icons: kate mossDavid Sims

Giacca di jeans, POLO RALPH LAUREN; 505, LEVI’S; T-shirt, PETIT BATEAU

TEAM CREDITS

Photo: DAVID SIMS

Styling: EMMANUELLE ALT

Model: KATE MOSS

Hair: PAUL HANLON

Make-up: YADIM

Manicure: MICHELLE CLASS

Production: ERIN FEE PRODUCTIONS

Casting: PIERGIORGIO DEL MORO AND HELENA BALLADINO AT DM CASTING WITH ALEJANDRA PEREZ

Stylist Assistants: GEORGIA BEDEL, PENELOPE VANNI

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Editor in Chief: MASSIMO RUSSO

Creative Fashion Director: SISSY VIAN

Editorial Director: STEFANO TONCHI

L’editoriale completo solo su Harper’s Bazaar Italia issue 22 “Maestria”, in edicola dal 28 agosto.