La Red Bull allontana Horner
Nella pausa tra il GP di Gran Bretagna e quello del Belgio, il mondo della Formula 1 è rimasto spiazzato dal licenziamento a effetto immediato di Christian Horner dalla Red Bull, che dopo vent’anni con la squadra di Milton Keynes ha perso il ruolo di Team Principal e CEO. Ora, nel corso della pausa estiva, gli ultimi rapporti tra il manager britannico e il team si sono definitivamente cancellati in seguito un altro annuncio ufficiale, con Horner che non ricopre più nemmeno il ruolo di direttore di Red Bull Racing, Red Bull Technology e di Red Bull Powertrains.
Ma per quale ragione si è verificata questa rottura tra Horner e la Red Bull? A inizio 2024 il britannico era stato coinvolto in uno scandalo di sexting con una dipendente della squadra, ma il 51enne era stato poi scagionato in seguito a un’indagine. In un’intervista a F1 Destinations, colui che ha cercato di esprimere una propria opinione sull’allontanamento di Horner dalla squadra è stato l’ex boss della F1 Bernie Ecclestone.
La teoria di Ecclestone
Secondo il 94enne la dirigenza dell’azienda sarebbe in disaccordo con i piani dell’ormai ex Team Principal e, non avendo un chiaro piano di successione a Milton Keynes, si è trovata a promuovere Laurent Mekies dalla Racing Bulls: “È stato un po’ come un matrimonio finito con un divorzio – ha commentato Ecclestone – dopo la morte di Dietrich Mateschitz (co-fondatore della Red Bull), all’interno della Red Bull si erano diffuse idee sulla leadership e la direzione del team che non favorivano Christian. Ha fatto un ottimo lavoro, ma era visto, proprio come Max Verstappen, come qualcuno che non aveva un vero numero due. È difficile criticare qualcuno che vince gare e campionati, ma non c’era un piano B nel caso in cui qualcosa fosse andato storto con Christian o Max”.
Qualcosa già visto con un altro team
Problematiche che furono molto simili a quelle che Ecclestone visse in prima persona negli anni ’80 da proprietario del team Brabham, quando Nelson Piquet vinse due campionati del mondo nel 1981 e 1983, ma con i compagni di squadra del brasiliano quali Hector Rebaque, Ricardo Zunino e Riccardo Patrese che non riuscirono a lasciare il segno con la stessa monoposto: “Questo è il problema quando il capo si innamora di uno dei suoi piloti – ha aggiunto – può causare problemi. È positivo avere due piloti più o meno alla pari, come quelli che ha oggi la McLaren. Funziona se si riesce a fornire esattamente la stessa macchina a entrambi i piloti. Quando ho portato Riccardo Patrese in squadra gli ho detto che avevamo tre vetture, una per ogni pilota più una di riserva, e che avrebbe dovuto scegliere quale guidare. In quel caso non ci sarebbero state lamentele”.