Fu tra le prime richieste di Volodymyr Zelensky alla Nato, tre anni fa, mentre i carri armati russi attraversavano il confine e i caccia Sukhoi riducevano in cenere i palazzi residenziali delle grandi città. Il mondo sotto choc. «Dateci una no-fly zone», batteva i pugni il presidente con la mimetica addosso. Un blocco aereo. Ricevette un no secco, allora: troppo rischioso, avrebbe aumentato esponenzialmente il rischio di uno scontro militare diretto con Mosca. Ora quella proposta torna sul tavolo fra le “garanzie di sicurezza” delineate da Stati Uniti ed Europa per vigilare sulla tregua e in caso di future aggressioni, spiegano due fonti a conoscenza delle trattative. All’indomani del vertice alla Casa Bianca alla corte di Donald Trump prende forma lo “scudo” per Kiev.
La task force
Ad assemblarlo sarà una task force guidata dal segretario di Stato americano Marco Rubio e composta dai consiglieri per la sicurezza nazionale (Nsa) degli alleati. Nei prossimi giorni si susseguiranno riunioni tecniche – per l’Italia parteciperà il consigliere diplomatico della premier Giorgia Meloni, Fabrizio Saggio – per entrare nei dettagli. Il tempo stringe. L’obiettivo è definire entro una settimana, dieci giorni al massimo, un trattato da sottoporre alla firma dei principali Paesi europei, degli Stati Uniti e aperto alla “Coalizione dei volenterosi”. Una clausola sulla scia dell’ “articolo 5” per la difesa collettiva della Nato – proposta dall’Italia nei mesi scorsi e ora avanzata dall’amministrazione americana – che preveda un intervento automatico dei contraenti se la Russia dovesse violare i patti. Entro tempi definiti: ventiquattro ore, quarantotto al massimo.
Le garanzie di sicurezza per Kiev
Qualcosa si muove dopo la foto di gruppo alla Casa Bianca fra Trump e i “sette” europei. Che si rivedranno: a inizio settembre dovranno dare il via libera, forse con un nuovo vertice dal vivo, alle garanzie di sicurezza per Zelensky. Sono ore frenetiche sul fronte diplomatico. Ieri in una nuova videocall dei “Volenterosi” il premier inglese Keir Starmer e il presidente francese Emmanuel Macron hanno rilanciato la proposta di inviare truppe di interposizione per una missione di pace in Ucraina. Ma è un crinale scosceso. Oltre alla netta contrarietà italiana – da Roma arriverebbe un via libera solo con il cappello delle Nazioni Unite – c’è un durissimo niet russo sulla presenza di soldati Nato sul territorio ucraino. Mentre apre all’idea di peace-keepers provenienti da Paesi “terzi”, a partire dalla Cina. E Trump? Resta cauto. In un’intervista a Fox News il presidente Usa ha frenato sull’invio di truppe di “rassicurazione” americane in Ucraina, dopo le apparenti aperture della vigilia. Niente boots on the ground. Ma al tempo stesso ha spiegato che gli americani potrebbero fornire supporto a un contingente europeo con “il sostegno aereo”.
Della questione si occuperanno nelle prossime ore, oltre ai diplomatici, i vertici militari dei Paesi coinvolti. Oggi volerà a Washington il capo di Stato maggiore britannico, seguito a stretto giro dall’omologo italiano, il generale Luciano Portolano. Nella lista di garanzie per blindare la pace, si diceva, potrebbe rientrare l’istituzione di una no-fly zone sui cieli ucraini. Ma le ipotesi al vaglio sono diverse, dalla copertura aerea americana per i peacekeepers evocata da Trump alla sorveglianza del confine orientale ucraino tramite droni e sistemi satellitari. Dettagli da definire in fretta, entro settembre, per evitare che si chiuda la finestra negoziale aperta con il faccia a faccia fra Putin e il Tycoon in Alaska. Non sarà facile mettere nero su bianco un accordo vincolante. Del resto gli sherpa sanno che qualunque proposta, per non restare lettera morta, dovrà avere una luce verde da Mosca. C’è un precedente da cui partire. Ovvero gli accordi decennali siglati da alcuni Paesi europei con l’Ucraina per un patto di mutua assistenza.
Il trattato
Meloni ha firmato a Kiev, nel secondo anniversario della guerra. C’è una clausola in quel patto: prevede consultazioni “immediate”, entro un giorno, in caso di una nuova aggressione russa. Si può partire da qui, spiegano, prevedendo un meccanismo automatico: non un attacco militare ma l’invio di armi, munizioni e finanziamenti oltreché le sanzioni a Mosca in tempi record. È una corsa contro il tempo. L’Ue serra i ranghi e vuole un posto al tavolo. Comunque vadano i negoziati, hanno fatto sapere dalla Commissione agli Stati membri nei giorni scorsi, non riconoscerà legalmente i territori occupati russi. L’Ucraina una era e una resterà, a queste latitudini. Almeno sulla carta.
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