Fiorentina, le parole di Dzeko

Mancini, Inzaghi e Fonseca i tecnici coi quali hai lavorato di più. Ma è con Spalletti che hai segnato il maggior numero di gol: 44 in 69 partite.  
«Spalletti è uno dei migliori che ho avuto. Nei primi quattro, cinque mesi a Roma non giocavo tanto ed ero deluso… Spalletti è diverso dagli altri, ha un carattere particolare e va capito. Quando l’ho conosciuto meglio, le cose sono migliorate notevolmente. Lui sa entrare nella testa dei giocatori. Mi dispiace che non sia andato bene con la Nazionale, forse non era il lavoro suo. Spalletti deve stare in campo sempre, avere un contatto continuo con la squadra… Per gli attaccanti, poi, è il numero uno assoluto». 
 
Per quale motivo? 
«Con lui tutti i palloni arrivano agli attaccanti. Quando segnavo due gol mi diceva “Sei contento, Edin…”. E io: certo. “Pensa che potevi farne quattro”. 
 
Solo con Inzaghi, all’Inter, sei tornato a vincere. 
«Simo è una bravissima persona, fa star bene i ragazzi, lui dà grande libertà. Eravamo una squadra forte, io arrivai il secondo anno, ma nel primo lui proseguì il lavoro di Conte, non lo stravolse. I compagni mi dissero che Conte è un fenomeno, con lui sapevano sempre cosa fare e dove andare. Barella che partiva da 8 e s’abbassava a terzo dietro e tanto altro, erano movimenti codificati… Con Simone abbiamo alzato dei trofei, ed è stato bellissimo, ma anche vissuto un paio di giornate nere».  
 
Istanbul. 
«E Bologna, Bologna non la dimentico». 
 
 A Roma sei ancora amatissimo. 
«Otto anni in Italia, magnifici a Roma e Milano, i quattro figli sono nati tutti qui e l’intenzione mia e di mia moglie è quella di restare a vivere in Italia… A Roma abbiamo vinto una Champions». 
 
Prego? 
«Il tre a zero al Barcellona, a quel Barcellona, dopo il 4-1, è stato come vincere la Champions». 
 
Sei tornato a 39 anni. 
«Ma non per fare il vecchietto che sta lì, leggero e spensierato. Io mi sento bene, la testa è quella di sempre, e anche i piedi. Non sarò velocissimo, ma non sono mai stato uno dai movimenti rapidi. Curo molto il mio corpo, l’alimentazione. Un tempo a 33, 34 anni uno era arrivato. Le cose sono cambiate. A 39 faccio ancora dieci, undici chilometri a partita». 
 
Quest’anno è arrivato anche uno più vecchio di te di qualche mese. 
«Modric è un calcio senza età, fa la differenza anche a quarant’anni». 
 
Lui 40, tu 39 e De Bruyne 34: la serie A è diventata un campionato per vecchi fusti. 
«Ci sono anche tantissimi giovani bravi. Il Liverpool ha appena speso 35 milioni per Leoni, che ha 18 anni, e l’estate scorsa Calafiori è andato all’Arsenal». 
 
Ti spaventa il pensiero dell’addio al calcio? A Roma hai vissuto quello di Totti. 
«Francesco io oggi lo capisco. Lasciare quella che è stata la tua vita per più di vent’anni, gli allenamenti, i ritiri, i compagni, le partite negli stadi più belli del mondo, è doloroso, destabilizza. Io voglio arrivarci con la testa giusta, quando sarò contento di chiudere, staccherò. Mi sento ancora lontano da quel giorno. E sono orgoglioso di poterlo dire. So di non poter giocare tutte le partite, i tempi di recupero sono diversi rispetto a quando avevo vent’anni. Ma ho tanto da dare alla Fiorentina».  
 
E a Kean. 
«Lo conoscevo, abbiamo lo stesso agente, ci siamo affrontati in campo e anche incontrati a Milano. Diciamo che sono un po’ meno esplosivo di Moise».