Una dottoressa e un’infermiera della casa della salute di Pratovecchio Stia, in Toscana, si filmano mentre gettano nel cestino i farmaci prodotti da Teva, colosso israeliano della farmaceutica. Non è chiaro se le confezioni fossero vuote o piene, se appartenessero alle due operatrici o alla stessa Asl. Ma il gesto, rilanciato sui social, ha già prodotto il suo effetto: trasformare la medicina in militanza politica, la sanità pubblica in palcoscenico per una sceneggiata ideologica.

La cura dei paziente sottomessa all’agenda ideologica

Qui non siamo di fronte a un’ingenuità da bar, ma a un atto che porta con sé un messaggio devastante: l’idea che si possa piegare la cura dei pazienti a un’agenda ideologica. Un medico e un’infermiera, in quanto professionisti del sistema sanitario, non rappresentano solo sé stessi: rappresentano un’istituzione che deve rimanere neutra, imparziale, al servizio di tutti. Teva non è un simbolo politico: è l’azienda leader mondiale nei farmaci equivalenti, quelli che garantiscono cure accessibili a milioni di italiani. Buttarli nel cestino — anche solo per finta — significa buttare nel cestino la logica, l’etica professionale e, in ultima analisi, i pazienti stessi. Se oggi si demonizzano i farmaci perché prodotti in Israele, domani cosa accadrà? Si rifiuteranno le terapie oncologiche di una casa farmaceutica americana? Gli antibiotici tedeschi? Gli anestetici francesi?

Israele oggi non è il nemico: è una democrazia che combatte una guerra difensiva contro Hamas, un’organizzazione terroristica che affama i palestinesi, li usa come scudi umani e tiene ancora in ostaggio civili israeliani. Boicottare Israele attraverso i farmaci Teva non significa “punire” lo Stato ebraico: significa mettere a rischio milioni di pazienti in tutto il mondo. Italiani, europei, e perfino palestinesi che ogni giorno negli ospedali di Gerusalemme o Tel Aviv ricevono cure salvavita prodotte da Teva.

Ma questo gesto non nasce dal nulla. È il sintomo — o meglio, la conseguenza — di un clima politico che avalla e normalizza certe posizioni. Quando il presidente della Regione Toscana, Eugenio Giani, chiede che l’Italia riconosca lo Stato di Palestina senza porsi il problema di chi governa Gaza (un’organizzazione terroristica), trasmette implicitamente il messaggio che prendere di mira Israele sia legittimo, persino doveroso. Ed ecco allora che un atto irresponsabile come quello di due operatrici sanitarie trova terreno fertile e diventa spettacolo social.

Chi invoca il boicottaggio forse non lo sa, o forse fa finta di non saperlo: quando si deve curare una malattia grave, nessuno guarda l’etichetta politica del produttore. Si guarda solo alla speranza di guarire. Trasformare una compressa in un’arma ideologica è pura propaganda, cieca e crudele.

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Nicolae Galea