di
Elmar Bergonzini
Il conduttore, cresciuto ai Colli Portuensi, parla del suo rapporto con la Capitale. E non solo: «Con il viaggio nei sentimenti ho fatto 13»
Il suo sorriso è abbinato a Temptation Island. La sua conduzione, calda, empatica, ma comunque attenta e discreta lo rende oggi fra i conduttori più apprezzati. Filippo Bisciglia è alla mano nel privato e lo è anche davanti alle telecamere. «Nelle storie che vivono i concorrenti rivedo le mie esperienze e quelle dei miei amici. Cerco sempre di fare in modo che le coppie si confrontino fra di loro, senza intromettermi. Il momento è loro, non sarebbe corretto e non è nell’etica del programma se io mi schierassi». Anche perché poi l’attenzione del telespettatore, altrimenti, andrebbe sul conduttore più che sulla storia che si racconta, incidendo inevitabilmente sull’evoluzione del confronto. «E noi vogliamo raccontare la verità». Cresciuto a Colli Portuensi, nella zona di Villa Bonelli, Bisciglia non ha mai voluto cambiare zona di Roma. «Mi è capitato, nel corso della vita, di traslocare, ma sono sempre rimasto nel mio quartiere. Roma è talmente grande che ogni rione è un piccolo paese. E io non ho mai voluto lasciare il mio. Lì ho tutto, è casa mia».
Col tempo e con la notorietà il suo rapporto con Roma è cambiato?
«Non molto. Forse anche perché appunto sono sempre rimasto nel mio quartiere. Ricordo una mia fidanzata, quando ero giovanissimo, che si lamentava perché per strada mi fermavo a parlare con tutti. Mi è sempre piaciuto conoscere le storie, le persone. Per questo essere fermato non mi turba».
Come si esprime la romanità?
«In linea di massima il romano è simpatico, caloroso, affettuoso e vero. Una volta il romano era simpatico a tutti, poi il sentore comune è cambiato. Persi i vari Alberto Sordi, Aldo Fabrizi o la Sora Lella, si è cominciato a percepire il romano più come spaccone e coatto».
Il suo posto preferito a Roma?
«Porto nel cuore Trastevere, Testaccio, Portuense, ma ricordo anche con affetto Pincio e Gianicolo, dove andavo con le prime cotte adolescenziali. Per noi vedere la Fontana di Trevi, o il Colosseo, paradossalmente, è scontato. Averli a disposizione quotidianamente porta, in molti casi, a non apprezzare i monumenti. Papà mi portò al Colosseo quando ero bambino, ma saranno 35 anni che non ci entro. E mi rendo conto che è sbagliato. La gente viene da tutto il mondo per vedere i nostri monumenti e noi li snobbiamo».
Eppure lei ha vissuto anche fuori…
«Sì, ma sento nostalgia. Roma mi dà aria, mi sento a casa. Non ce la farei a vivere lontano».
Bisognerebbe stimolare di più i romani in tal senso?
«Secondo me sì. Qualche anno fa ai Fori Imperiali organizzarono un evento in 3D col quale ci si immergeva nella Roma antica. Ci andai e tornai a casa col cuore gonfio di gioia ed emozioni. Va trovata la chiave giusta per valorizzare i monumenti».
Cosa funziona a Roma e cosa si dovrebbe migliorare?
«Sugli autobus, non muovendomi con i mezzi, non mi esprimo. La città dovrebbe essere più pulita però. Ma questo deve partire dal singolo cittadino. A me di Roma piace molto il dialetto romanesco: vorrei invece si valorizzasse di più».
Come nasce la sua passione per la Lazio?
«Sono cresciuto in un palazzo fatto di soli tifosi biancocelesti. Guardavamo le partite tutti insieme sul divano. Da bambino andai perfino a Napoli con papà a vedere lo spareggio col Campobasso per non andare in C».
Porterebbe Lotito al falò di confronto con i tifosi?
«Dispiace ovviamente per il blocco del mercato e per gli ultimi campionati non esaltanti, ma apprezzo che i laziali, nel bene e nel male, abbiano in Lotito un punto di riferimento. Altri tifosi non sanno nemmeno a chi riferirsi. I loro club sono in mano a fondi, fantasmi. Non farei a cambio».
Quanto è importante il calcio a Roma?
«Tantissimo. A me piace molto lo sfottò, ho molti amici romanisti. Con loro ci provochiamo, ci stuzzichiamo. Ma al derby andiamo allo stadio insieme, dividendoci solo all’ingresso. A volte però, purtroppo, la rivalità sconfina in violenza. Una volta, all’ingresso dello stadio, alcuni tifosi mi stavano per aggredire: si fermarono quando uno mi riconobbe. Non so cosa sarebbe successo altrimenti».
Leggenda vuole che la lazialità ostacoli la carriera in Tv…
«Se si è insicuri, forse. Nascondere la propria fede calcistica per me non ha senso. Nell’ultima edizione di Temptation Island ho avuto modo di palesare la mia lazialità. Finito il programma ho detto agli autori, e molti sono romanisti, di non tagliare quel passaggio. Nessuno mi ha detto niente, anzi, ci abbiamo riso. Ma non avevo dubbi, perché il nostro è un programma vero».
Con Valerio Ciaffaroni, il concorrente tifoso laziale, si era creata un’empatia particolare?
«Ho a cuore tutti i concorrenti. La sua storia, col nonno che è venuto a mancare allo stadio durante la finale di Coppa Italia del 2019 vinta contro l’Atalanta, mi ha colpito. Sono contento che grazie a lui sono riuscito a dire “Forza Lazio sempre” davanti a tutti».
Si discute spesso del percorso dei concorrenti, ma lei come valuta il suo di percorso a Temptation Island?
«La prima edizione con me alla conduzione, nel 2014, era sperimentale. Maria De Filippi scelse me e la ringrazierò sempre, ma rivedendomi ebbi la sensazione di dover migliorare alcune cose. Spero di esserci riuscito».
Ormai nell’immaginario collettivo è lei il volto di Temptation Island: si sente un’icona?
«Scongiuri a parte: avevo visto la prima edizione insieme alla mia compagna Pamela. Non avrei mai pensato di arrivare a condurre 13 edizioni, ma la cosa che mi inorgoglisce è che ogni anno si sale sempre di più. Quest’estate abbiamo fatto 33% di spettatori, circa 4,6 milioni di persone collegate alle quali vanno aggiunte altre 4 milioni che hanno seguito il programma in streaming. Sono felicissimo, credo che sia qualcosa di unico per la tv».
Perché il programma funziona così bene?
«Tutti noi, personalmente o attraverso alcune amicizie, abbiamo vissuto le storie dei concorrenti. La gente si immedesima. Percepisce la verità di quel che viene raccontato».
I concorrenti le chiedono consigli su come affrontare il programma?
«No, anche perché li vedo per la prima volta quando inizia la trasmissione».
Si deve mordere la lingua quando parla con i concorrenti?
«Durante il primo falò non posso dire la mia perché quello è un momento di confidenza. Devo limitarmi ad ascoltare. Durante il falò conclusivo posso provare a dare consiglio a entrambi, senza schierarmi però. Non sarebbe corretto e non è nell’etica del programma. Da telespettatore, però, a volte avrei reazioni diverse».
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21 agosto 2025 ( modifica il 21 agosto 2025 | 07:36)
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