di
Lorenzo Cremonesi

Il braccio destro di Zelensky: «Certamente è una situazione difficile, ogni guerra lo è, ma non accettiamo il ricatto di alcun ultimatum. Resistiamo, possiamo combattere»

KIEV «Sembra ci sia un nuovo realismo di Putin. Meglio battere il ferro finché è caldo», sostiene Andriy Yermak. Per una volta questo che è il più intimo consigliere e amico di Zelensky ammette di essere «soddisfatto». Sono appena tornati dall’incontro con Trump e gli europei a Washington. L’abbiamo intervistato per un’ora mentre ferve il lavoro per preparare quello col presidente russo.

Pensa davvero si vedranno? Tanti lo dubitano.
«Credo, spero, sarà prima un summit bilaterale».



















































Putin e Zelensky?
«Sì, subito loro due, seguito a tamburo battente dal summit trilaterale con Trump».

Dove?
«Non sappiamo ancora. Ci sono varie località in lizza: Ginevra, Istanbul, il Vaticano, l’Arabia Saudita».

Conferma che i russi avevano offerto Mosca?
«Ne ho sentito parlare. Ma… non ne abbiamo discusso».

E Budapest?
«È stata menzionata. Ovviamente c’è la memoria dell’accordo tradito del 1994, comunque non è tra le mete preferite».

Voi quale sede vorreste?
«La priorità resta che sia una scelta condivisa. Noi vorremmo certamente in Europa, ma si mira al risultato migliore. E sarebbe bene che passasse il meno tempo possibile dall’incontro con Trump».

Cosa risponde a chi valuta che non vi siano affatto le condizioni?
«Con la guerra in corso e al punto in cui siamo tutto resta aperto. Non sappiamo. Ma solo poco tempo fa tanti avrebbero ritenuto impossibile il summit di tre giorni fa tra Zelensky, gli europei e Trump nell’Ufficio Ovale con l’atmosfera di unità e collaborazione come è stato tre giorni fa: un successo storico che forse nessuno aveva previsto».

I problemi?
«La Russia continuerà a remare contro. Ma avrà meno spazio di manovra per i suoi giochi».

Quando potrebbe avvenire?
«Appena possibile. Noi evitiamo qualsiasi ritardo. Tutto dipende da Putin, perché già ai negoziati di Istanbul in giugno Zelensky si era detto prontissimo a vederlo in ogni momento, anzi lo aspettava. Fu Putin a non presentarsi. Anche oggi potrebbe fare lo stesso, prendere tempo col pretesto che non è stato fatto abbastanza lavoro preparatorio. Noi siamo pronti: Zelensky intende finire la guerra al cento per cento, sebbene ad attaccare siano stati i russi. E non dimentichiamo che i bombardamenti sulle nostre città stanno continuando».

Al cuore del vostro lavoro sono adesso le garanzie di sicurezza fornite dagli alleati. Ma il ministro degli Esteri russo Lavrov ha già detto che è utopico parlarne senza coinvolgere Mosca. Cosa risponde?
«Non ci aspettiamo e non ci fidiamo delle garanzie russe. Mosca ci deve ancora spiegare perché mai ha violato già nel 2014 le garanzie che aveva firmato nel memorandum di Budapest due decadi prima. Nel concreto, noi ci fidiamo soltanto delle garanzie offerte dai nostri amici e alleati, che sono gli Usa, gli europei e la “Coalizione dei volenterosi”».

Conferma che Germania, Gran Bretagna e Francia sono già pronte a mandare truppe in Ucraina?
«Posso confermare che più di tre Paesi sono diposti a inviare soldati, ma non voglio dire esplicitamente quali, anche se alcuni tra quelli che ha menzionato ci sono. Occorre che tutto questo sia coordinato con gli Stati Uniti per mantenere l’unità del nostro fronte ed elaborare alcune regole d’ingaggio comuni. Certamente avremo truppe alleate sul nostro territorio».

Quanti soldati?
«Abbiamo un lungo confine con la Russia e con i nostri comandi si sta studiando la consistenza dei contingenti stranieri necessari per presidiarlo. Vanno elaborate la natura del loro mandato, le modalità d’impiego, le prerogative e i limiti della missione».

Ci sarà anche la copertura aerea americana, con loro velivoli nelle vostre basi?
«Trump ci ha detto che gli Usa parteciperanno alle nostre garanzie di sicurezza e adesso stiamo definendo gli aspetti concreti di quest’impegno. Da stanotte riprendono i contatti tra i nostri generali e il Pentagono».

Putin dall’inizio della guerra si era detto contrario a qualsiasi tipo di presenza militare di Paesi Nato in Ucraina. Come reagirà?
«Per noi è una grande vittoria, che prova l’importanza degli Stati Uniti e il fatto che Putin non ci può dettare affatto le sue condizioni capestro. Sta a noi scegliere i nostri alleati e le modalità della nostra difesa militare. Assieme con Usa e Ue troveremo il modo di costringere i russi a riconoscerlo».

Ci sarà un coinvolgimento militare italiano diretto?
«Ci sono ottime relazioni con il vostro Paese e con la premier Meloni. Abbiamo molto apprezzato la sua idea di applicare l’articolo 5 della Nato per la difesa del nostro Paese che adesso ha adottato anche Trump. Sappiamo che l’Italia è coinvolta pienamente nella nostre difesa militare, va adesso circostanziato il nuovo impegno».

E se i russi fossero totalmente contrari?
«Non vanno accettati tutti i diktat russi. Si deve entrare nella logica del negoziato»: 

Tra le novità del summit in Alaska sembra ci sia la nuova disponibilità russa a pretendere soltanto tutto il Dombass, oltre alla Crimea, e non anche tutte le altre regioni che non occupa totalmente. Siete pronti ad accettare?
«Zelensky è stato chiaro: tutti gli aspetti territoriali saranno affrontati nel suo incontro bilaterale con Putin; inoltre si deve trattare a partire dall’attuale linea del fronte e comunque noi non rinunciamo ai nostri territori nazionali. Prendiamo atto della situazione creata dalla guerra e vogliamo parlarne».

State pensando a un referendum per modificare la Costituzione in modo che permetta di riconoscere l’occupazione russa?
«No, non lo stiamo facendo e al momento non intendiamo cedere nessuna parte della nostra terra. Ma oggi siamo realisti e sappiamo che l’aggressore ha occupato alcune regioni e per ora non siamo in grado di liberarle con le armi. Allo stesso tempo, vogliamo porre fine alla guerra e che non si ripeta nel futuro. Zelensky ne parlerà con Putin. Va chiarito che con gli americani si è detto che non c’è alcuna precondizione al summit».

I russi avanzano. Non c’è il rischio che prendano ancora più territorio?
«Dopo 11 anni di guerra, noi controlliamo più del 25 per cento del Donbass. Negli ultimi 1.000 giorni di battaglie i russi hanno preso soltanto l’1 per cento dell’Ucraina con perdite gravissime nel loro esercito. Va capito che noi non stiamo perdendo e i russi non vincono. Certamente è una situazione difficile, ogni guerra lo è, ma non accettiamo il ricatto di alcun ultimatum, possiamo ancora combattere».

Si fida di Trump?
«Io mi fido degli Stati Uniti e del loro presidente. Senza il loro aiuto noi oggi saremmo in una situazione assolutamente peggiore. Dobbiamo riconoscere che Trump è il primo presidente americano che incute paura a Putin e lo obbliga persino ad accettare un summit con noi».

Il 28 febbraio ci fu lo scontro duro Trump-Zelensky, tre giorni fa era piena armonia. Come lo spiega?
«Hanno avuto bisogno di tempo per capirsi. Si parlano, si fidano uno dell’altro. E Trump ha avuto parole speciali anche per ogni leader europeo. Ancora adesso mi auguro sia in grado di arrivare a un cessate il fuoco che faciliti i negoziati per la pace durevoli nel tempo».

Potete fare a meno degli aiuti militari americani e utilizzare solo quelli europei?
«Sfortunatamente no. È vero che il sostegno europeo è molto cresciuto negli ultimi mesi ma gli aiuti Usa restano vitali».

Crede che Putin sia cambiato e rinunci al controllo totale dell’Ucraina, come era il suo piano iniziale?
«Non credo sia cambiato, però ha capito che non può trasformarci in una sorta di Bielorussia-bis. Putin è rimasto sorpreso dalla nostra capacità di resistenza e adesso è spiazzato dalla nuova cooperazione tra noi la Ue e Trump. Tutto questo lo spinge ad un atteggiamento più realista».

La Cina è coinvolta?
«Pechino potrebbe aiutare a moderare la Russia, sappiamo che continua a cooperare con la macchina militare russa. Per ora non è coinvolta nei preparativi per i negoziati di pace. Ma spero che avvenga presto».

21 agosto 2025