La rendita di presentabilità, che la posizione indecente del Campo Largo sulla tragedia ucraina assicura al cerchiobottismo di Giorgia Meloni, tende a essere facilmente dissipata da vari esponenti della maggioranza e dell’esecutivo proprio per l’assenza di un’opposizione – Calenda a parte – in grado di richiamare il Governo a un sostegno effettivo e non puramente parolaio alla resistenza di Kyjiv e piuttosto incline a incalzarlo sulla pregiudiziale pacifista e sulle popolarissime tiritere antibelliciste, che galvanizzano la buona coscienza a buon mercato degli italiani brava gente.

È difficile chiedere chiarezza sulla posizione governativa, che è un arabesco retorico pieno di doppi fondi logici e politici, quando il principale schieramento di opposizione tenta di dissimulare dietro artifici dialettici untuosamente clericali una posizione largamente coincidente con quella della Casa Bianca e del Cremlino: la pace inizia dove finisce non la guerra della Russia, ma la resistenza dell’Ucraina, la cui dissoluzione politico-territoriale è da considerarsi un prezzo giusto per la pace globale.

Nondimeno va segnalato – ed è segnale tutt’altro che propizio per chi scommette sull’europeismo pro-ucraino dell’esecutivo – il modo ipocrita e ambiguo in cui ieri il ministro della Difesa, Guido Crosetto, e il ministro per gli Affari europei, Raffaele Fitto, si sono barcamenati nelle due interviste gemelle rilasciate a Repubblica e a Il Foglio, sul cosiddetto lodo Meloni, cioè sulla garanzia di sicurezza all’Ucraina di domani in cambio delle dolorose concessioni di oggi, di cui – questo è l’assunto – si può discutere la misura, ma non la natura, cioè la consegna di parte del territorio e della popolazione ucraina allo stato invasore.

In linea generale, è escluso che l’estensione dell’articolo cinque della Nato all’Ucraina possa essere, di per sé, la pietra filosofale capace di trasformare la guerra in pace, visto che – piccolo dettaglio – neppure per i Paesi parte dell’alleanza, qualora aggrediti, questo implica un necessario impegno militare da parte degli altri Paesi alleati, come aveva fatto minacciosamente notare Donald Trump nel giugno scorso, prima del vertice Nato dell’Aia.

L’articolo cinque, infatti, prevede semplicemente che ciascuno stato membro assista lo stato attaccato «intraprendendo immediatamente, individualmente e di concerto con le altre parti, l’azione che giudicherà necessaria, ivi compreso l’uso della forza armata». Il che significa che potrà mandare soldati, armi o semplici messaggi di sdegno e di solidarietà: a discrezione.

L’articolo cinque, di per sé, non è dunque una garanzia di nulla, a maggior ragione in un campo, quello dei conflitti bellici, in cui gli obblighi giuridici diventano facilmente carta straccia e anche norme ben più cogenti e impegnative tendono a essere eluse o violate per ragioni di convenienza e opportunità politica.

Ma scendendo dal generale al particolare, il lodo Meloni è ancora meno credibile per i termini in cui viene concretamente proposto. Anche volendo prescindere dal fatto che questa opzione è avanzata da un Paese che ha escluso e continua a escludere un impegno militare diretto a difesa dell’Ucraina, confermando che l’articolo cinque è in sé una garanzia di cartapesta, che non vincola neppure chi ha inteso proporla, il Governo italiano si è spinto ancora più in là, ritenendo che esso sia anche un’alternativa alla cosiddetta coalizione dei volenterosi, cioè alla strategia di un gruppo di Paesi disponibili a un impegno sul campo.

Crosetto lo ha detto chiaramente: «Se i russi accettano l’articolo cinque [l’idea] potrebbe essere quella di non avere truppe di altri Paesi, per di più europei, in Ucraina». Quindi il lodo Meloni si trasformerebbe in una riedizione del Memorandum di Budapest, col quale, a fronte del disarmo nucleare dell’Ucraina, la Russia si impegnò a rispettarne l’indipendenza e l’integrità territoriale e gli Stati Uniti e il Regno Unito a difenderla in caso di attacchi. La situazione in cui siamo oggi è esattamente la dimostrazione di quanto valgono gli impegni solenni scritti sulla carta, ma non corrispondenti alla volontà politica dei sottoscrittori.

Questa guerra, fin dall’inizio, è una questione di volontà politica. Quali fossero quella russa e ucraina è stato evidente dall’inizio. Fino all’elezione di Trump, è stata chiara, anche se cervellotica e perdente, quella europea e occidentale, condizionata dall’idea di non umiliare la Russia in una guerra che non doveva vincere, ma neppure perdere, per non generare effetti cascata. Dopo l’elezione di Trump, la volontà americana coincide semplicemente con quella russa.

In questo contesto, qualunque strategia che serva a compiacere Trump perché continui a compiacere Putin, al massimo minimizzando i danni per i poveri ucraini, porta attraverso una nuova Budapest a una nuova Monaco, non a una pace duratura, e il lodo Meloni, se fosse approvato nei termini in cui viene proposto, sarebbe semplicemente il sigillo della capitolazione dell’Ucraina e dell’Europa.