Per la popolazione oncologica sarda la prevenzione non si ferma ai trattamenti di chemio o radioterapia: una corretta copertura vaccinale può fare la differenza tra un decorso sereno e complicazioni gravi. Tuttavia, nonostante oltre diecimila nuove diagnosi ogni anno, la diffidenza verso i vaccini continua a rappresentare l’ostacolo principale, più della burocrazia.
Il quadro epidemiologico nell’Isola
In Sardegna, ogni giorno vengono individuati in media ventotto nuovi casi di tumore: un dato che, proiettato su dodici mesi, supera quota 10mila diagnosi. Il professor Mario Scartozzi, responsabile dell’Oncologia medica dell’Aou di Cagliari, ricorda che i tassi di sopravvivenza a cinque anni sono ormai allineati al resto del Paese e in costante miglioramento. Questa evoluzione trasforma molti malati in soggetti con patologie croniche, costretti a convivere per lungo tempo con terapie complesse e, soprattutto, con una condizione di immunodepressione che li rende vulnerabili a infezioni prevenibili.
Per ridurre i rischi è raccomandato un pacchetto di cinque immunizzazioni: anti-pneumococcica, antinfluenzale, contro l’Herpes zoster, anti-HPV e anti-Covid-19. Ogni siero risponde a minacce diverse, ma tutte possono complicare in modo significativo il decorso di chi è già provato da chirurgie, farmaci biologici o radioterapia. In particolare, l’infezione da pneumococco può sfociare in polmoniti insidiose, mentre il cosiddetto fuoco di Sant’Antonio colpisce il 40 % in più dei pazienti oncologici rispetto alla popolazione sana, generando dolore, ritardi nella cura e ospedalizzazioni che si potrebbero evitare.
Il valore delle cinque immunizzazioni cardine
L’influenza, troppo spesso percepita come un passaggio obbligato dell’inverno, per un malato di cancro può diventare un fattore scatenante di complicanze respiratorie serie, con necessità di sospendere o rinviare i cicli terapeutici. L’anti-Hpv, invece, mantiene un ruolo chiave nella protezione di adulti ancora fertili o di giovani donne che affrontano neoplasie, riducendo la possibilità di recidive collegate al papillomavirus. Proteggere il sistema immunitario in queste fasi significa non solo evitare una malattia aggiuntiva, ma preservare la continuità delle cure essenziali.
Neppure il Sars-CoV-2 è più il nemico inafferrabile dei mesi più critici della pandemia, ma resta capace di provocare quadri clinici complessi: fino al 15 % dei pazienti oncologici sperimenta sintomi persistenti di long Covid, una condizione che affatica già organismi messi a dura prova dal tumore. L’inoculazione periodica di un richiamo rimane dunque strategica. Analogamente, la copertura anti-pneumococco riduce drasticamente ricoveri e morti evitabili. Il messaggio, ribadiscono gli esperti, è semplice: le punture di oggi sostituiscono giorni di degenza domani.
Ostacoli culturali più che logistici
Nei reparti dell’Isola esistono slot di prenotazione, corsie preferenziali e scorte a temperatura controllata: la macchina organizzativa non è, al momento, il problema. Eppure molti malati, insieme a familiari e caregiver, restano perplessi di fronte alle raccomandazioni vaccinali. Valeria Pusceddu, coordinatrice Aiom Sardegna, racconta che l’esitazione origina da timori di interazioni con chemioterapia o immunoterapia, paure amplificate da voci non comprovate circolate durante l’emergenza Covid. Quando la titubanza prevale, la finestra ottimale per la somministrazione si chiude e si perde un’opportunità di protezione preziosa.
Secondo un’analisi presentata da Aiom, soltanto nel 30 % delle prime visite oncologiche viene proposta l’intera copertura vaccinale, mentre nella maggior parte dei casi ci si limita alle singole immunizzazioni più note. La chiave, spiegano i clinici, è incrementare il counseling verso malati e caregiver: illustrare con linguaggio semplice i benefici, chiarire i dubbi sulla compatibilità con chemioterapia e radioterapia, smontare le false credenze diffuse durante la pandemia. L’esperienza sul campo dimostra che, quando questo dialogo avviene, l’adesione cresce sensibilmente subito.
Una campagna che percorre dieci regioni
La campagna itinerante “La vaccinazione nel paziente oncologico”, ideata da Fondazione Aiom e sostenuta da GSK senza condizionamenti, prevede tappe in dieci regioni con momenti di confronto tra oncologi, professionisti sanitari e rappresentanti dei pazienti. Il viaggio parte in parallelo da Sardegna e Lazio, poi proseguirà lungo la penisola per diffondere linee guida aggiornate, discutere criticità locali e costruire alleanze per migliorare i tassi di copertura vaccinale, senza dimenticare la formazione dei medici di medicina generale e degli operatori sanitari territoriali.
Ad accompagnare gli incontri itineranti ci sono spot radiofonici, video brevi per i social e opuscoli distribuiti negli ambulatori, tutti centrati su una narrazione semplice: il vaccino come parte integrante della terapia oncologica. Le grafiche spiegano, con tabelle chiare, le finestre temporali ideali rispetto a chemio, radio o immunoterapia. Il messaggio rimbalza sui dispositivi di pazienti e caregiver, trasformando lo smartphone in uno strumento di medicina preventiva. Una sezione di domande frequenti aiuta a smontare, voce per voce, le fake news più ricorrenti.
Voci dal campo clinico sardo
Nel corso dell’incontro a Monserrato Scartozzi ha messo al centro un concetto semplice: «una puntura protettiva può evitare interruzioni di terapia e ricoveri non programmati», ha spiegato. L’oncologo cagliaritano ha ricordato che la maggior parte dei pazienti in trattamento riceve farmaci che abbassano le difese immunitarie e che un’infezione respiratoria o un fuoco di Sant’Antonio possono costringere a posticipare cure pianificate da settimane. Per questo propone di integrare la somministrazione dei vaccini direttamente nei reparti, senza ulteriori passaggi burocratici.
Alla discussione hanno partecipato la dottoressa Pusceddu, che ha illustrato le linee guida sull’impiego dei vaccini nei pazienti immunocompromessi, e il professor Giovanni Sotgiu, epidemiologo dell’Università di Sassari e membro del Consiglio superiore di sanità, che ha contestualizzato i dati sardi in un panorama nazionale in cui le coperture restano disomogenee. Fabiana Melis, coordinatrice infermieristica, ha offerto la prospettiva di chi segue quotidianamente l’assistenza: «quando il vaccino si somministra durante la stessa seduta di terapia, il paziente si sente al sicuro e accetta più facilmente», ha detto.
Prospettive future e responsabilità condivise
Il passo avanti più immediato, secondo gli addetti ai lavori, consiste nel riconoscere la vaccinazione come prestazione oncologica a tutti gli effetti, erogabile e tracciata nello stesso day-hospital dove si programmano le infusioni. Una decisione che semplificherebbe la rendicontazione delle dosi, permetterebbe di monitorare in tempo reale le coperture e alleggerirebbe i centri vaccinali territoriali. Aiom si prepara a presentare la proposta al tavolo regionale, forte dei risultati preliminari già registrati nei reparti che hanno avviato il progetto pilota.
La scommessa finale, però, non può essere delegata soltanto alla burocrazia sanitaria: richiede la partecipazione attiva di medici, infermieri, ricercatori ma anche della comunità dei pazienti. Accettare un vaccino significa prendersi cura di sé e, allo stesso tempo, alleggerire il carico assistenziale di chi verrà dopo. Gli esperti lo ripetono con fermezza: l’epoca in cui si contrapponevano terapie oncologiche e immunizzazioni è finita. Oggi il successo è frutto di un’alleanza che passa anche da una semplice iniezione quotidiana e condivisa.