Dopo le inchieste del Guardian e di Associated Press si moltiplicano le proteste interne che vogliono che venga chiuso ogni contratto commerciale con l’esercito israeliano. Microsoft nega di aver dato il permesso di usare la sua tecnologia nel conflitto e apre due indagini

La richiesta è tanto semplice quanto complessa: chiudere ogni legame e ogni contratto con Israele. Per due giorni un gruppo di dipendenti di Microsoft si sono accampati nel campus di Redmond – la sede centrale dell’azienda – per protestare contro l’uso militare delle tecnologie che il loro datore di lavoro produce nel conflitto a Gaza. Secondo quanto riferito dalla polizia, la manifestazione pacifica iniziata martedì 19 agosto è diventata sempre più aggressiva il giorno successivo. Tanto da concludersi con 18 arresti. 

Perché protestano

A inizio agosto un’inchiesta del Guardian ha provocato un terremoto all’interno degli uffici di Redmond. Tra i dipendenti così come tra i top manager. Secondo il quotidiano britannico l’esercito israeliano starebbe utilizzando la piattaforma di Cloud di Microsoft, Azure, per creare un sistema di sorveglianza di massa, raccogliendo e memorizzando le registrazioni di milioni di telefonate fatte dai palestinesi che vivono a Gaza e in Cisgiordania. Sempre il Guardian ha rivelato come questo sistema sia attivo dal 2022 e cita un incontro, avvenuto l’anno prima nel 2021, tra il Ceo Satya Nadella e il comandante dell’Unità 8200, l’agenzia israeliana per la sorveglianza miltare. Dopo la pubblicazione dell’inchiesta, Microsoft ha dichiarato di essere all’oscuro di quali dati venivano memorizzati su Azure, nonostante siano stati raccolti documenti e testimonianze da 11 diverse fonti – di entrambe le parti – che spiegano nel dettaglio la creazione di questo archivio di comunicazioni tra palestinesi. Che sarebbe tra l’altro conservato nei data center dell’azienda in Europa, tra Paesi Bassi e Irlanda. Queste intercettazioni sarebbero state utili, ad esempio, per coordinare attacchi aerei e operazioni via terra.



















































Non solo: tornando indietro a febbraio, era stata l’Associated Press a rivelare come la collaborazione tra Microsoft e il ministero della Difesa israeliano sia molto solida e si sia anzi rafforzata dal 7 ottobre 2023. Già l’agenzia aveva rivelato come la piattaforma cloud Azure fosse una «arma strategica» per trascrivere, tradurre ed elaborare le informazioni raccolte attraverso la sorveglianza di massa. Informazioni che poi venivano e vengono concretamente utilizzate sul campo sfruttando i modelli di intelligenza artificiale della multinazionale per incrociarli con i sistemi di puntamento interni di Israele. Già a quei tempi Microsoft aveva negato che le sue tecnologie fossero sfruttate per colpire i cittadini di Gaza e aveva avviato un’indagine per capire nell’esercito israeliano si stavano portando avanti degli utilizzi non previsti dai contratti. Dopo l’inchiesta del Guardian, è stato ingaggiato uno studio legale, il Covinton & Burling, per avviare una seconda indagine. Nessun risultato al momento è stato pubblicamente condiviso.

Licenziamenti e arresti

L’uso della tecnologia sviluppata dalle Big Tech per scopi militare non è cosa nuova. Così come non lo sono le controversie – e le preoccupazioni dei dipendenti – legate a questi contratti. Non solo Microsoft, ma anche Google, OpenAI e Meta (per non parlare di Palantir) collaborano a stretto contatto con l’esercito americano. Il caso di Microsoft e del suo possiibile coinvolgimento nella guerra a Gaza ha però scatenato una serie di proteste nella sede di Redmond che ormai durano da mesi. Si sono creati dei gruppi interni, come quello chiamato «No Azure for Apartheid» che esplicitamente accusa l’azienda di permettere che la sua tecnologia venga usata per «sorvegliare, affamare e uccidere i palestinesi». Tre persone sono state licenziate, tra maggio e aprile, per aver interrotto platealmente degli eventi pubblici – un discorso del Ceo Nadella e i festeggiamenti dei primi 50 anni della società – per mostrare il loro disappunto. E arriviamo a martedì 19 agosto, quando è stata pubblicata online la chiamata per una «worker intifada». Non è chiaro quanti fossero i partecipanti tra i 47mila dipendenti che lavorano nella sede di Redmong. Il rumore che hanno provocato è stato però forte, tra bandiere palestinesi, manifesti e vernice rosso sangue sul logo di Microsoft. La giornata si è conclusa con 18 arresti e il formale comunicato dell’azienda: «Continueremo a impegnarci con determinazione per sostenere i nostri standard in materia di diritti umani in Medio Oriente, sostenendo e adottando misure concrete per contrastare le azioni illegali che danneggiano la proprietà, perturbano le attività commerciali o minacciano e danneggiano altre persone».

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21 agosto 2025 ( modifica il 21 agosto 2025 | 11:51)