Per moltissimo tempo la persone sono state classificate in due categorie opposte: quella dell’introverso, cioè della persona chiusa e timida, e quella dell’estroverso, ovvero colui che è socievole ed aperto agli altri. Ora uno psichiatra americano, Rami Kaminski, dopo 40 anni di esperienza, aggiunge un terzo tipo di personalità che descriverebbe coloro che non si identificano in alcun gruppo e che tendono a non subire alcuna influenza: gli otroversi. Si tratta di un neologismo che deriva dall’idea di essere “altro” rispetto al gruppo.

Gli individui e il gruppo

Il concetto di “otroverso” si discosta radicalmente dalla nostra comprensione sociale dell’appartenenza. Kaminski descrive gli otroversi come individui che non sentono il bisogno di fondere la propria identità con quella di un gruppo. Non provano quel senso di “legame sacro” che spinge la maggior parte delle persone a unirsi a squadre, club, partiti politici o qualsiasi altra forma di collettività. Per loro, riti d’iniziazione, giuramenti e simboli di appartenenza sono semplicemente “parole”, prive di una vera risonanza emotiva.

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Questo distacco non è dovuto a problemi di connessione emotiva, ma è un tratto distintivo della loro natura. «Nasciamo tutti otroversi, prima che il condizionamento culturale dell’infanzia consolidi le nostre affiliazioni con varie identità e gruppi», spiega Kaminski sul New Scientist.

Libertà e unicità

Vivere in una società che premia l’appartenenza può sembrare difficile per un otroverso, ma Kaminski sostiene che questo tratto offre due potenti vantaggi: originalità e indipendenza emotiva. Non essendo soggetti alle regole implicite del gruppo o influenzati dal pensiero di massa, gli otroversi sono liberi di pensare e creare in modo unico. La loro capacità di distinguere la propria «gravità interiore» dalla spinta del consenso di gruppo permette loro di generare idee innovative, non contaminate dal «pensiero del gregge». Possono adattarsi facilmente a situazioni che cambiano, senza il timore di sovvertire le nozioni collettive di ciò che è «giusto» o «buono».

L’indipendenza emotiva è un’altra conseguenza diretta di questo tratto. Non avendo un gruppo da cui temere il rifiuto, gli otroversi non cercano l’approvazione esterna. La loro autostima non dipende dalla convalida altrui. Questo li libera dal bisogno di convincere gli altri del proprio valore e li rende capaci di costruire legami profondi e genuini, non basati su interessi o affiliazioni di gruppo, ma su una vera affinità con l’individuo.

Sfumature

Pur trovando interessanti le argomentazioni dello psichiatra americano, Liliana Dell’Osso, presidente della Società italiana di psichiatria, non crede alle categorizzazioni rigide. «Termini come introverso ed estroverso – spiega – descrivono gli estremi di un’unica dimensione continua, al cui centro esistono tutte le gradazioni intermedie. È per pura convenzione che si stabilisce una soglia clinica, oltre la quale un tratto diventa “diagnosi”. Ma in natura non esistono salti netti: esistono sfumature».

Lo stesso vale per molti tratti della personalità. «Quelli che oggi definiamo otroversi – originalità radicale, distacco sociale, intensa interiorità, ipersensibilità – possono tranquillamente essere considerati tratti dello spettro autistico, pur rimanendo al di sotto della soglia diagnostica – specifica Dell’Osso -. Non si tratta quindi di categorie “altre”, ma di espressioni sottosoglia di una struttura di funzionamento della mente che si distribuisce in modo dimensionale, e non categoriale», conclude.