Che il celeberrimo publisher nipponico Capcom sia in un autentico stato di grazia sotto il profilo della creatività e dell’ispirazione artistica è ormai un fatto noto. Del resto stiamo parlando della stessa azienda che, negli ultimi anni, ha lanciato in rapida successione titoli del calibro di Resident Evil 7 e Village; gli straordinari remake dei Resident Evil classici; lo splendido Street Fighter 6 e i più recenti, celebratissimi capitoli di Monster Hunter (World, Rise e Wilds), oltre a concedersi qualche originale digressione come il bizzarro tower defense Kunitsu-Gami Path of the Goddess.
In un contesto di tale eccellenza, coronato dalla recente prova del nono capitolo canonico di Resident Evil, Requiem che pare desinato ad alzare ulteriormente l’asticella della qualità in un franchise già di per sé costellato di sfolgoranti successi, come si fa a rimanere ancora stupefatti dall’eccelsa qualità delle loro produzioni? Eppure, lo stupore più genuino e disarmante è proprio l’emozione che abbiamo provato quando, in occasione della Gamescom 2025, abbiamo messo le mani su Onimusha: Way of the Sword, quinta iterazione della saga di action/RPG made in Capcom che mescolava gli stilemi tradizionali dei racconti sui samurai all’epoca del Giappone feudale con una serie di indovinate commistioni a tema horror che davano alla narrativa un gusto unico e inimitabile.
Abbiamo provato in anteprima le fasi iniziali del gioco per circa 20 minuti e siamo pronti a condividere le nostre prime impressioni.
Il nuovo Onimusha è
Il protagonista della vicenda non è altri che il leggendario Miyamoto Musashi, figura realmente esistita nel periodo Sengoku (a cavallo tra il 1500 e il 1600). Militare e filosofo, Musashi è universalmente riconosciuto come il più formidabile spadaccino della storia del Paese, un autentico innovatore dell’arte della spada, apparentemente mai sconfitto in duello fino al giorno della sua dipartita, in tarda età.
Già presente in alcune sporadiche occasioni nei passati capitoli della serie di Onimusha (nonché in veste di personaggio principale nell’adattamento animato pubblicato su Netflix), l’imbattibile samurai si prende le luci della ribalta in Way of the Sword, in una storia dalle atmosfere ancora più oscure rispetto agli standard del franchise. Ci troviamo in una versione distorta della Kyoto del periodo Edo, negli anni in cui la figura mitologica di Musashi aveva già ampiamente affinato le sue tecniche di combattimento e si era imposta come guerriero inscalfibile, senza rivali. Lo ritroviamo nel bel mezzo del suo cammino verso il venerabile tempio Kiyomizu-dera, invaso dallo stesso denso e misterioso miasma che ha sommerso le strade della città. Per qualche ragione non meglio specificata, è divenuto un Onimusha, letteralmente un demone guerriero, sul cui braccio destro è stato innestato un enigmatico Guanto Oni senziente, capace addirittura di comunicare con lui con una suadente voce di donna dalle origini ignote. Mentre nubi oscure si addensano nel cielo e i malvagi Genma cercano di ostacolare l’implacabile avanzata dello stoico protagonista, l’obiettivo della sua crociata ci appare chiaro davanti agli occhi: dobbiamo raggiungere il cuore del tempio e purificarlo, dissipando una volta per tutte l’origine della mefitica esalazione che sta flagellando la popolazione locale. Un compito ben più facile a dirsi che a farsi.
Fortunatamente, come vi anticipavamo, il nostro è un veterano di mille battaglie, più che disponibile a passare a fil di spada qualunque creatura da incubo gli si pari davanti, indipendentemente dalle sue fattezze o dal suo gradiente di aggressività.
Ed è qui che emerge il primo degli aspetti sorprendenti di Way of the Sword: il suo straordinario sistema di combattimento. I fondamenti ludici, come ci si potrebbe aspettare, sono quelli classici: un tasto è dedicato ai colpi leggeri vibrati impugnando la lama a una mano, un altro è assegnato ai colpi pesanti, capaci di spezzare la guardia anche degli avversari più coriacei e c’è un comando adibito alle tecniche speciali del Potere dell’Oni, utili a infliggere danni ingenti in un brevissimo lasso di tempo. Per quanto riguarda i frangenti difensivi, invece, Musashi può decidere di schivare i fendenti in arrivo o di defletterli sollevando la sua fidata katana, sbilanciando il nemico di turno nel caso in cui la parata sia stata eseguita col giusto tempismo. Allora cosa rende così speciale l’opera di Capcom? Pur affondando le proprie radici nella tradizione della saga e rispondendo ai dettami tipici degli action/RPG all’arma bianca, il nuovo capitolo di Onimusha mette sotto i polpastrelli dei giocatori un organismo ludico calibrato alla perfezione, vivace, profondo e spiccatamente tecnico, per quanto caratterizzato da ritmi piuttosto lenti e ragionati rispetto alla media della categoria. Il segreto di tale magnificenza è da ricercarsi nei nuovi tool di sviluppo integrati nel codice dell’avveniristico RE Engine che hanno consentito al team capitanato dal director Satoru Nihei di infondere un dinamismo e una fisicità senza pari ai frequenti duelli proposti dal gioco.
Grazie a una libreria di animazioni gargantuesca, il maestro Miyamoto Musashi si muove in maniera fluida e credibile reagendo in modo realistico agli impatti, usando i calci per tramortire i nemici e poi giustiziarli con un poderoso colpo di grazia o addirittura squarciandoli a metà con un brutale fendente. Incrociare le lame con gli avversari, poi, risulta particolarmente galvanizzante poiché il gioco riproduce continuamente stimoli sensoriali adatti a enfatizzare la drammaticità del momento, sia sotto il profilo tattile (facendo leva sul feedback aptico dei Dualsense di PS5, ad esempio) che sotto quello audiovisivo.
Davvero un lavoro eccelso, in tal senso. Ma anche il livello di interazione con l’ambiente di circostante è da lasciare a bocca aperta: ci è capitato, in una specifica occasione, di effettuare un parry preciso e di destabilizzare un avversario che poi abbiamo visto inciampare battendo la fronte sul muro ed esponendo il fianco a un letale colpo critico. La posa, dal canto suo, assume un ruolo di particolare rilevanza nell’equazione ludica imbastita da Capcom.
In un modo che per certi versi ricorda quanto visto in Sekiro: Shadows Die Twice, consumare l’indicatore posto sotto la barra della salute degli avversari incalzandoli con fendenti ripetuti o effettuando parate dal tempismo perfetto finisce per azzerarne i valori difensivi, rendendoli del tutto inermi ai nostri violenti contrattacchi. Si tratta di una meccanica davvero utile da padroneggiare, specie per trionfare agevolmente nelle sequenze di battaglia contro i boss. La nostra prova, invero, si concludeva proprio con una coreografica boss fight contro Sasaki Ganryu, uno dei più acerrimi rivali storici di Miyamoto Musashi, che qui appare in una versione deviata, sotto la terribile influenza del tetro Miasma.
La battaglia a cui abbiamo preso parte, ambientata nelle rovine decadenti del tempio tra le carmine foglie d’acero che si sollevavano nell’etere a causa della furia dello scontro, si è rivelata davvero mozzafiato: mentre Ganryu tentava di frantumare le nostre difese alternando calci in picchiata dall’alto e violenti assalti frontali, noi rispondevamo colpo su colpo erodendo sempre di più l’indicatore della sua postura, fino al punto di rottura. A questo punto, Onimusha: Way of the Sword ha rivelato un altra meccanica inedita, quella del cosiddetto Issen Critico.
Una volta spezzata la postura dei boss avremo la facoltà di vibrare un potente attacco critico indirizzato a una specifica parte del corpo con esiti e ricompense differenti: mirando alla testa potremo rompere il robusto Jingasa di Ganryu dimezzando i suoi punti vita in un colpo solo mentre, concentrandoci sugli arti superiori, moltiplicheremo il premio in anime ma il duello si protrarrà per qualche minuto extra con un livello di difficoltà leggermente più elevato.
Non vediamo l’ora di scoprire in che modi questo sistema potrà influenzare gli sviluppi del gameplay nelle fasi più avanzate della campagna.? A proposito di anime, anche in Way of the Sword ritorna la possibilità di assorbire i frammenti di anima generati dai cadaveri dei nemici ma la durata limitata del nostro test non ci ha consentito di approfondire il sistema di progressione pensato per il gioco. Torneremo sicuramente a parlarne.
Come se la cava tecnicamente?
Resta da trattare il lato tecnico e artistico della produzione di Nihei e soci che, già in questa versione non ancora definitiva, si è presentata in forma smagliante. Al di là delle prestazioni granitiche sui 60fps (la prova è stata condotta su PS5 Pro) e delle già menzionate movenze del protagonista e dei suoi oppositori, l’ultima incarnazione di Onimusha porta in scena un comparto visivo di assoluto pregio, impreziosito da un’effettistica di prim’ordine e da alcune delle migliori animazioni facciali che abbiamo visto in un videogioco in tempi recenti. L’ultima iterazione del RE Engine, aggiornata e modificata per l’occasione, ha prodotto risultati, senza mezzi termini, sensazionali
Buono anche l’accompagnamento musicale che riesce a esaltare correttamente il pathos delle battaglie con componimenti acustici e orchestrali gradevolissimi, così come gli effetti sonori, tutti ben realizzati e implementati. C’è perfino il doppiaggio in italiano, ormai divenuto marchio di fabbrica dei prodotti di casa Capcom, qui assegnato a un team di professionisti del settore le cui performance recitative, già da ora, ci hanno convinti su tutta la linea. La ciliegina sulla torta? Il protagonista è stato modellato sulle fattezze dell’attore giapponese Toshiro Mifune, una vera e propria leggenda del cinema asiatico di genere.