In vista di futuri viaggi su Marte gli scienziati stanno cercando di capire se la specie umana è in grado di riprodursi in spazi extraterrestri: microgravità e radiazioni cosmiche gli ostacoli principali

Come sarebbe nascere nello spazio? O meglio, sarebbe effettivamente possibile una gravidanza? E come potrebbe avvenire un parto in assenza di gravità? Fino ad oggi l’argomento è stato relegato a pura fantascienza. Non è mai nata una specie extraterrestre, nonostante le numerose missioni che si sono susseguite negli anni prima sulla Luna e poi alla Stazione Spaziale Internazionale. Il sesso «spaziale» per la Nasa è un tabù: l’Agenzia non gradisce domande sull’argomento. Le astronaute assumono la pillola per bloccare il ciclo. Eppure, se vogliamo davvero abitare altri mondi è necessario affrontare il problema: possiamo riprodurci nello spazio?

Alla conquista di Marte

Con l’accelerazione dei programmi di esplorazione e colonizzazione spaziale verso Marte gli scienziati stanno approfondendo l’argomento, ma le pubblicazioni si basano su dati limitati perché nessun mammifero si è mai riprodotto in territorio extraterrestre. Se gli esseri umani avessero una base su Marte non potremmo continuare a tornare indietro di 225 milioni di chilometri, con viaggi di 7-9 mesi, per avere figli sulla Terra. Gli esseri umani avranno bisogno di avere bambini nello spazio, ambiente ostile per il corpo umano, con alti livelli di radiazioni.



















































Forse ancora per molto tempo, soprattutto per questioni etiche, bisognerà accontentarsi della fantasia di scrittori e registi: la recente serie tv sud-coreana intitolata «Le stelle parlano di noi» racconta proprio la storia di un gruppo di astronauti-scienziati che effettua esperimenti sulla riproduzione di topi e moscerini nello spazio. Fino a quando, a nascere tra le stelle, tra mille rischi e paure, non sarà proprio un bambino.
 
Sull’eventualità di una nascita nel corso di una missione gli scienziati non vogliono trovarsi impreparati. «Un viaggio di ritorno su Marte fornirebbe un tempo più che sufficiente per tutti i processi della riproduzione umana. Una tale eventualità è al di fuori dei piani di missione, ma deve essere considerata per sapere come gestirla qualora si verificasse. Ciò aprirebbe opportunità per lo studio di un caso unico, non pianificato ma accettabile della missione» scrive Arun Vivan Holden, professore emerito di biologia computazionale alla University of Leeds in un articolo di review pubblicato alcune settimane fa sulla rivista Experimental Physiology.

L’atto sessuale nello spazio

In tutte le fasi della gravidanza di un mammifero, dal concepimento al parto, l’ostacolo principale nello spazio è l’assenza di gravità.
Avere un rapporto sessuale in condizione di microgravità, con il corpo senza peso, fluttuante nello spazio, potrebbe essere particolarmente complicato. Per non parlare della privacy, (l’ISS è tappezzata di telecamere) e delle condizioni igieniche piuttosto precarie. L’atto sessuale «richiederebbe manovre simili a quelle per baciarsi e fare sesso mentre si è in acqua profonda e si galleggia in mare» scrive lo scienziato britannico. «Nessuno è sopra, qualsiasi spinta porta alla separazione». Serve fantasia. In sostanza bisogna legarsi e avere un appoggio a cui appigliarsi per riuscire ad avvicinarsi al partner. Secondo gli scienziati, il rapporto sessuale potrebbe comunque concludersi.

Le incognite della fecondazione

Più incognite sulla fase successiva, la fecondazione. «Non sappiamo ancora se nello spazio può effettivamente avvenire la fecondazione in un mammifero: l’ovulo, pur spinto dal fluido viscoso verso le tube, arriva nell’utero fondamentalmente grazie alla forza di gravità» riflette Matteo Cerri, docente di fisiologia a Bologna e coordinatore del gruppo di ricerca sull’ibernazione dell’Esa (Agenzia spaziale europea), che con Mariano Bizzarri, professore di Patologia clinica all’Università di Roma ha firmato una revisione pubblicata sulla rivista Frontiers in Physiology nel maggio scorso sull’impatto della microgravità sulla salute riproduttiva delle donne.

La specie umana parte a dire il vero svantaggiata. «Solo un terzo dei concepimenti si conclude con un parto; il 40-50% delle fecondazioni termina con aborti spontanei» ricorda Holden. Questo avviene sulla Terra, ma in un ambiente ostile come lo spazio è verosimile che l’efficacia riproduttiva diminuisca.

Secondo i resoconti aneddotici degli astronauti rientrati sulla Terra la microgravità non dovrebbe inibire la funzione erettile o l’eiaculazione, sebbene l’assenza di gravità possa influenzare la circolazione e ridurre la produzione di testosterone. «In condizioni normali il sangue tende ad andare verso il basso e il cuore deve fare un maggiore sforzo per pomparlo verso la testa; ma in assenza di gravità il cuore pompa il sangue con la stessa forza in tutte le direzioni e dunque fluirà meno sangue verso gli arti, rendendo l’erezione potenzialmente più difficoltosa» dice Cerri.

Il parto

Dare alla luce un bambino nello spazio potrebbe essere comunque davvero complicato: «Durante il parto, sulla Terra, la forza di gravità contribuisce a spingere il feto; nello spazio la donna dovrebbe far affidamento alle sole contrazioni uterine» ricorda Matteo Cerri. E dal momento che nulla è fermo e tutto fluttua è facile immaginare che cosa succederebbe ai fluidi rilasciati (e fluttuanti) durante questa fase tanto delicata: al sangue, sudore e lacrime si uniscono il liquido amniotico e le perdite di urina. Il parto è qualcosa di molto disordinato anche sulla Terra, nello spazio potrebbe diventare «disgustoso». Vista dalla parte del neonato, probabilmente la nascita sarebbe meno traumatica dal momento che il feto cresce galleggiando nel liquido amniotico all’interno dell’utero, in una condizione molto simile a quella della microgravità. «In un certo senso l’utero è un simulatore di microgravità» scrive Holden.

La crescita

Se la nascita avesse successo un bambino che cresce in condizione di microgravità si muoverebbe in modo molto diverso da uno nato sulla Terra: non imparerebbe a gattonare, ma a fluttuare, spingendosi usando le braccia. L’assenza del carico gravitazionale potrebbe avere effetti devastanti per la formazione di ossa (che vanno incontro a demineralizzazione) e muscoli (che perdono massa).
«I bambini, a differenza degli astronauti adulti, non potrebbero eseguire esercizi per contrastare questi affetti- sottolinea – Cerri- Probabilmente crescerebbero con gravi alterazioni muscolo-scheletriche che potrebbero impedire loro una normale deambulazione una volta ritornati sulla Terra». 

Sulla base delle osservazioni sugli astronauti è stato visto che la microgravità provoca cambiamenti nel sistema cardiovascolare e nervoso e non si sa che impatto potrebbero avere queste variazioni su un feto in rapida formazione. «Il cuore si troverebbe sottoposto a dinamiche pressorie diverse e probabilmente diventerebbe più rotondo e meno forte» avverte Matteo Cerri. Crescere in microgravità potrebbe interferire con i riflessi posturali e la coordinazione: è verosimile che i bambini non sarebbero in grado di riuscire a capire qual è il sopra e il sotto.

Il pericolo dei raggi cosmici

Una minaccia ancora più pericolosa è rappresentata dai raggi cosmici. Si tratta di particelle ad alta energia che corrono nello spazio ad una velocità vicina a quella della luce. Quando il nucleo si scontra con il corpo umano possono verificarsi gravi danni al Dna che innescano mutazioni cancerogene; oppure provocare risposte infiammatorie molto forti che spingono il sistema immunitario a danneggiare anche i tessuti sani. E questo è un problema particolarmente grave durante le prime fasi della gravidanza, quando le cellule dell’embrione si dividono per formare tessuti e organi. «Anche l’esposizione a un solo raggio durante questa fase – dice Holden – potrebbe essere letale per l’embrione. C’è da dire però che la probabilità che ciò accada, date le dimensioni ridotte dell’embrione, sono relativamente basse». Ma con l’avanzare della gravidanza le probabilità di essere colpiti dai raggi cosmici aumentano: se succedesse, la gestazione si concluderebbe con un aborto. 

Il rischio di radiazioni ionizzanti non scompare con la nascita. Il cervello di un bambino continua a crescere e un’esposizione alle radiazioni potrebbe causare danni permanenti, influendo potenzialmente sulle funzioni cognitive, sulla memoria e sulla salute a lungo termine.

Il rischio dovuto ai raggi cosmici è ad ogni modo variabile. Sulla Terra siamo protetti dalla maggior parte delle radiazioni cosmiche dalla spessa atmosfera del nostro pianeta. Ma nello spazio questa schermatura scompare. «La Stazione Spaziale Internazionale è ancora in gran parte protetta dal campo magnetico terrestre e a oggi gli unici esseri umani che sono stati esposti alle radiazioni cosmiche sono gli astronauti delle missioni Apollo, anche se per poco tempo» ricorda Cerri. Sappiamo che un viaggio di andata e ritorno su Marte esporrebbe l’astronauta a radiazioni cosmiche che superano i limiti tollerati e ad oggi non esistono protezioni sufficientemente efficaci. Anche se tutto andasse bene con un rientro sulla Terra, il rischio di tumore sarebbe aumentato e l’aspettativa di vita ridotta.

Gli studi sui topo e l’idea della colonia lunare

Ad oggi sono stati condotti pochissimi studi per indagare il processo riproduttivo nello spazio, anche per la difficoltà e la delicatezza etica dell’utilizzo di animali per esperimenti nello spazio. La Nasa tempo fa ha inviato nello spazio i primi campioni di sperma umano congelato. Le cellule congelate sono state riattivate con successo, ma hanno mostrato danni al Dna e si muovevano in modo diverso, e questo probabilmente ridurrebbe le loro possibilità di fecondare un ovulo. Più incoraggiante è stato il fatto che lo sperma di topo liofilizzato che ha trascorso diversi mesi nello spazio ha prodotto una cucciolata di topi sani quando fecondato sulla Terra: sebbene il Dna dello sperma fosse cambiato, il danno è stato riparato al contatto con l’ovulo femminile. Due ratte sono state inviate in orbita gravide, ma sono rientrate sulla Terra prima del termine della gravidanza (e sono nati cuccioli sani). Altre due coppie di topi sono state mandate nello spazio, ma non si sono accoppiate.

Proprio per capire meglio il tema della procreazione tra le stelle Matteo Cerri e alcuni suoi colleghi hanno presentato all’Agenzia Spaziale Europea un progetto in corso di valutazione che prevede l’invio di una colonia permanente di topi sulla Luna: «La scelta è caduta sul satellite terrestre perché quel poco di gravità potrebbe aiutare a costruire una struttura per ospitare gli animali, con un campo di radiazione a livelli intermedi tale da permetterci di comprendere se sarebbe possibile far nascere i primi topi lunari» La strada della conoscenza sembra però ancora molto lunga.

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21 agosto 2025