di
Rosanna Scardi

L’alpinista di Melzo (Milano), 50 anni, ucciso da un edema a 6.900 metri di quota: aveva portato aiuti alla collega Natalia Nagovitsyna. La sorella: «Già qualche anno fa aveva soccorso lei e il marito, che purtroppo era morto. Nell’ultimo messaggio mi aveva scritto: ti voglio bene»

«Vogliamo riportare mio fratello a casa il prima possibile. Non averlo qui ci impedisce di porre una fine alla tragedia». A parlare è Patrizia Sinigaglia, la sorella di Luca, l’alpinista 50enne di Melzo (Milano) che il 15 agosto è morto a 6.900 metri di quota sul picco Pobeda, montagna di 7.439 metri del massiccio del Tien Shan, in Kirghizistan. Il suo è stato un gesto eroico: tentare di salvare la vita a Natalia Nagovitsyna, un’alpinista russa che è tuttora bloccata a 7.200 metri. Luca Sinigaglia, che si occupava di cyber security, non aveva una compagna, né figli. La sua famiglia erano la sorella Patrizia e il fratello Fabio, i cinque nipoti e il papà, di 86 anni. La mamma è mancata sette anni fa.

Patrizia, che carattere aveva suo fratello?
«Luca era generoso, empatico, gentile. Aveva la battuta sempre pronta. L’alpinismo era la sua passione. Scalava da oltre vent’anni vette importanti come se fosse fare una passeggiata. Il 23 luglio aveva raggiunto la cima del Lenin Peak, oltre 7.000 metri, al confine tra Kirghizistan e Tagikistan. Lo aveva fatto in cinque giorni, senza guide, quando ce ne vogliono venti. Era l’allenamento per arrivare al picco Pobeda».



















































Qual è stata la dinamica dell’incidente?
«Era salito in solitaria e aveva conquistato la vetta, poi aveva iniziato la discesa; si trovava al riparo in una cava di ghiaccio insieme all’amico tedesco Gunthar Siegmund. Natalia aveva iniziato la salita poco dopo. Roman, un alpinista russo che li seguiva con lei, era sceso a informarli che si era rotta una gamba ed era in gravissima difficoltà. Luca ha preso tenda, fornelletto a gas, viveri e sacco a pelo ed è risalito in soccorso dell’amica insieme a Gunther».

Quando vi siete sentiti l’ultima volta?
«Il 13 agosto. Le condizioni meteo erano pessime, ma lui e Gunther avevano deciso di passare la notte con Natalia. Mi aveva chiesto di allertare la Farnesina. Dal campo base mi dicevano di convincerli a scendere poiché l’elicottero avrebbe potuto salvare solo una persona e loro potevano camminare. Luca mi aveva tranquillizzato: “Non preoccuparti, domani scendo. Tvb”. Il 14 agosto hanno raggiunto Roman nella cava. Avrebbero dovuto scendere fino ai 5.300 metri per poter essere recuperati dall’elicottero. Invece, dal campo base, il pomeriggio di Ferragosto, mi hanno avvisata: “Bad news, Luca non sta bene”. A stroncarlo è stato un edema cerebrale».

Luca aveva già salvato Natalia. Forse, avrebbe voluto ripetere il gesto eroico.
«Mio fratello avrebbe salvato chiunque. Lui e Natalia si erano conosciuti qualche anno fa sul Khan Tengri, in Kazakistan. Lei era con il marito Sergej in difficoltà e Luca si fermò per aiutarli. Riuscì a riportare al campo base solo Natalia, mentre il marito non si salvò».

Come stanno gli altri alpinisti?
«Natalia è ancora in cima, Roman e Gunther sono riusciti a scendere a piedi impiegandoci un giorno e mezzo. Non so quali siano le loro condizioni».

Qual era sogno di suo fratello?
«Da bambino desiderava mettere una bandierina in ogni Paese. Poi sognava di conquistare il Premio Leopardo delle Nevi, attribuito a chi riesce a raggiungere la vetta delle cinque montagne over 7.000 metri nell’ex Urss. Gli mancava il Pobeda. C’è riuscito, prima di morire»


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22 agosto 2025 ( modifica il 22 agosto 2025 | 07:37)