Clemente Maccaro, per tutti Clementino, mette le mani avanti: «Sono un saltimbanco, un rapper, un artista, per definizione girovago. Sono emigrato per farmi conoscere, ho vissuto tre anni a Roma, 5 a Milano, ma ora sono tornato a casa». Casa per il quarantaduenne re del freestyle, nato ad Avellino, è «Nola York», come lui chiama il territorio tra Camposano, Cimitile e Nola, dove è cresciuto e dove è tornato: «Faibano di Camposano è oggi il mio centro di gravità, vedremo se permanente. Mi sono fatto costruire Villa Iguana, ci entrerò l’anno prossimo, ma fin d’ora quando finisco un tour, quando poso le valigie, questa terra è lamia terra, come cantava Woody Guthrie, terra mia, come cantava zio Pino Daniele».
APPROFONDIMENTI
LE RADICI
Non è soltanto un discorso di radici, anche se quelle contano: «Quando il Napoli ha vinto il suo terzo scudetto qui ho commissionato un murale; qui ho organizzato battaglie di rap; qui – quando giro un videoclip -tutti mi danno una mano. Qui sono una persona prima che un artista». E poi, continua l’uomo dalla «Grande anima», come da titolo del suo nuovo album, «da qui ormai posso fare quasi tutto quello che serve per il mio lavoro: i contratti si fanno altrove, ma grazie alla rete, i dischi, anche le collaborazioni, le posso fare da casa mia, dal mio studio. E qui, quando non sono in tour, lavora il mio staff, qui sono i miei collaboratori, da qui partono – se serve – i miei collaboratori più fidati, spesso miei familiari». «Quando, intorno al Duemila, ho avuto bisogno di farmi conoscere, sono partito per il Nord. Oggi sanno chi sono, la mia carriera futura la posso disegnare restando. Molti sono andati via, pesa ancora il “fujtevenne” di Eduardo, ma i tempi sono cambiati, è cambiato il modo di fare l’artista, è cambiata Napoli, Nola York, la Campania», continua: «Prendi l’esempio di Geolier: lui è diventato il numero uno in Italia senza mai andare via». Si può fare, insomma: «Dopo 25 anni circa di carriera – me ne sono accorto rimettendo a posto vecchi ritagli de “Il Mattino” – mi unisco al coro di chi dice: ragazzi restate a Napoli, tornate a Napoli. Dietro ogni mia canzone o esibizione c’è un dj, un producer, dei tecnici del suono, dei musicisti. Sono lavori, creativi certo, e per questo ancora più belli ed adatti ai ragazzi di oggi. Partire, viaggiare, vedere, scoprire, farsi conoscere è fondamentale. Ma io parto per registrare “The voice senior”, parto per il giro dei concerti, parto perché ho bisogno di vedere il mondo: la mia prossima meta è Zanzibar. Così ho bisogno di un luogo che chiamo casa, di un luogo dove c’è il mio bar, il mio ristorante, la mia edicola, di posti dove sanno cosa voglio ancor prima che apra bocca». Ma il ragionamento guarda al futuro, ai ragazzi: «Non è tanto importante che Clemente Maccaro sia tornato a Nola York, in una periferia che togli a qualche servizio ma regala un’umanità straordinaria, quanto, forse, che Clementino dica ai tanti giovanotti che vogliono fare il suo mestiere che oggi a Napoli si può, a Salerno si può, a Nola York si può, a Camposano si può, lo dice la parola stessa: campo-sano».
L’APPELLO
In attesa che Villa Iguana sia pronta c’è «il boom di Napoli, quello turistico, quello artistico, quello del rap che ha reimposto il napoletano come lingua della canzone. Anche per questo “restavenne”, guaglio’, “turnatavenne”, guaglio’. Senza provincialismi, senza proclami autarchici e localismi stupidi, come tutti i nazionalismi. Siamo ragazzi d’Europa, come cantava qualcuno, abbiamo fatto il militare a Cuneo, come diceva qualcun altro, ma abbiamo soprattutto la fortuna di essere nati nella Campania Felix. La città fondata da una sirena 2.500 anni fa – a proposito: buon compleanno Partenope – è un bel posto, il posto giusto dove lavorare sul fronte della creatività: è grazie a lei che sono finito in un docufilm di Trudie Styler, è grazie a lei che ho conosciuto e conquistato Sting. Davvero vi sembra un posto da cui andarvene verso un… bosco verticale?», conclude Clementino, da burattinaio di parole.